Picnic è un racconto scritto da Juls SK Vernet e Daniela Barisone su commissione (per commissionarci un racconto clicca qui). I protagonisti sono Jesse e Scott de "La Scommessa" delle stesse autrici e la storia si pone in canon dopo gli eventi del libro. PicnicJesse ridacchiò all’espressione sconvolta di Scott. “Che c’è che non va? Non ti piace l’idea di un picnic? Solo io e te, nel raggio di miglia?”
“Ma… la natura,” Scott arricciò il naso. “Gli insetti.” “Sì beh, esistono anche loro,” rispose, divertito. Erano fuori dalle stalle della sua casa in Iowa, molto lontani dalle comodità cittadine del loro appartamento a New York a cui Scott era abituato. “Sai cavalcare? Qualcosa oltre a me, ben inteso.” Scott, bontà sua, arrossì in maniera furiosa. Jesse lo trovò delizioso e incredibile allo stesso tempo, perché dopo tutto quello che avevano fatto insieme era ridicolo vedere uno come Scott Brennan arrossire come un quindicenne a una battuta sporca. “Ho fatto equitazione, ti ricordo chi è la mia famiglia,” rispose l’altro, piccato. Incrociò le braccia al petto e guardò i due cavalli con una certa ansia. Jesse si lasciò scappare un altro risolino. “Allora saprai che quelle scarpette da principessa che hai indosso non vanno bene per cavalcare.” Il giovane si guardò le Oxford di pelle nera che indossava come un guanto, decisamente fuori posto nel cortile fangoso delle stalle del ranch di Jesse. “Cos’hanno le mie scarpe che non vanno?” “Niente, niente. Vieni qui.” Jesse scosse la testa ed entrò all’interno. Una rastrelliera attaccata al muro teneva appesi scarponcini di tutte le misure in bella mostra, un’utile idea poiché a Jesse piaceva parlare di affari con i suoi investitori andando a cavallo. E tutti loro indossavano Oxford di pelle in varie gradazioni di colore, proprio come Scotty. Ne prese un paio e lo allungò al compagno. “Queste dovrebbero essere del tuo numero. Lì c’è una panca. Mentre ti cambi vado a sistemare i cavalli.” Scott borbottò qualcosa sulla falsariga di “Ma perché non potevamo andare in macchina”, ma Jesse lo ignorò con un sorriso, andando a controllare che le sacche appese alle selle contenessero tutto quello che serviva loro. Aveva organizzato quel picnic con cura maniacale, voleva che fosse perfetto e una vera avventura per Scott. Aveva predisposto tutto, dalla tela cerata alla coperta di morbido pile su cui sedersi, agli spuntini e le bevande, tutto ordinatamente appeso ai cavalli. Non sarebbe stato un viaggio lungo, meno di dieci minuti al massimo, ma voleva che fosse bello. Bello, bellissimo. Per il suo adorato Scott. Quest’ultimo uscì dalla stalla con il broncio, vestito a festa e con un paio di scarponcini marrone chiaro che facevano a pugni con tutto il resto. “Non posso… non posso salire a cavallo.” Jesse inclinò la testa di lato. “Perché? Hai paura? Se è per questo posso…” “No, no. Non è per questo, è per…” fece un cenno vago con la mano, infine sbuffò sconfitto. “Stamattina ho messo il… sai, il plug. Quello che mi hai regalato.” “Beh.” Jesse gli rivolse un sorriso che sarebbe stato bene a uno squalo. “Vorrà dire che sarà una cavalcata molto interessante.” Scott arricciò il naso e gli fece una linguaccia. “Se sapevo che dovevamo andare fuori a cavallo magari evitavo,” borbottò il ragazzo, poi montò in sella con una certa scioltezza. Jesse non avrebbe saputo dire che indossava un plug — e se ricordava bene quello che gli aveva regalato non era proprio una taglia da principianti — se non per il fatto che lo vide fare una smorfia mentre si sistemava in sella e forse sedersi un po’ più in avanti di quanto fosse necessario. Ma lo sapeva soltanto perché lo conosceva nei minimi dettagli. Si avviarono lungo il breve tragitto al piccolo trotto. C’era qualche ostacolo da saltare ma Scott se la cavò egregiamente. Certo sembrava più abituato alle gare di dressage che a correre libero per le campagne, ma Jesse considerò che era un’altra cosa che avrebbero potuto fare insieme, un’altra cosa che avrebbe potuto insegnargli. Da quando stavano insieme Scott — che pure si divertiva un mondo a fare ancora la parte del moccioso viziato quando erano assieme — era cresciuto ed era fiorito oltre ogni rosea aspettativa. Il ragazzetto malizioso che l’aveva sedotto alla festa di Kayla Sutherland non era sparito nel nulla ma si era trasformato in un uomo giovane, bellissimo e pieno di capacità da sfruttare per il proprio futuro. Scott aveva ripreso a studiare, bruciando le tappe per recuperare il tempo perso e aveva cambiato il proprio corso di studi per selezionare qualcosa di più attinente ai suoi nuovi interessi in campo aziendale. Era sveglio, preparato e spesso parlava di cose che Jesse neanche sapeva come si scrivessero, ma per quello c’erano i suoi dipendenti, no? Finalmente sbucarono in un angolo verde tra un immenso campo di granturco sul retro del ranch di Jesse e uno stretto ruscello che divideva la zona coltivata da un appezzamento lasciato al naturale. In quella zona iniziavano delle basse collinette coperte da folta vegetazione e qualche arbusto più alto. “Wow,” disse il figlio della città, guardandosi intorno con grandi occhi azzurri pieni di sorpresa. “Sì beh,” rise Jesse, divertito. “Tutta un’altra cosa rispetto a Central Park, eh?” Scott scrollò le spalle e smontò da cavallo, lasciando la bestia libera di pascolare. Jesse lo vide passarsi le mani sulle chiappe indolenzite e smontò a sua volta, ridacchiando. Lo afferrò per la vita, da dietro, e se lo tirò addosso. Scott sbuffò e finse di dibattersi, per poi spalmarsi con un sospiro beato contro il petto ampio di Jesse. “Ora mi butti su una spalla e mi porti nella tua caverna?” disse l’impunito, sbattendo quelle lunghe ciglia nere sugli occhioni celesti. Jesse gli baciò la guancia. “Forse, ma dovrai avere pazienza.” Scott abbozzò un tenero broncetto rosa, che Jesse si affrettò a baciare. Era tutta scena, ma era divertentissimo. Insieme tolsero l’occorrente per il picnic dalle selle e lo sistemarono a terra. Stesero prima il telo cerato, poi la coperta di pile. Mise le sacche con il cibo e le bevande a terra, ma prima che Jesse potesse anche solo pensare di aprirle, Scott si era levato la maglia a maniche lunghe ed era rimasto a torso nudo. “Ma…” Scott lo fulminò con lo sguardo. “Possiamo mangiare dopo.” “Ma…” ritentò di nuovo Jesse, ma fu distratto dall’agile mossa con cui il ragazzo si tolse gli stivaletti, i jeans e le calze. Era rimasto solo con indosso un delizioso paio di mutandine da donna bordeaux che glielo fecero venire duro in un istante. Scott camminò fino al bordo della coperta e lo fissò con il fuoco negli occhi. “Mi hai fatto cavalcare con un cazzo di plug nel culo e ora pretendi che non sia tutto sottosopra?” Jesse lo afferrò per la vita e lo prese in braccio, godendo del modo in cui Scotty gli cinse i fianchi con le gambe sottili e il collo. Il bacio fu furioso e nessuno dei due avvertì la necessità di prolungare oltre quel momento. Da quando aveva potuto essere dentro di lui per la prima volta, Jesse non ne aveva mai abbastanza. “Sdraiati,” gli ordinò, staccandosi da quella bocca vorace. “Fammi prendere il lubrificante e il preservativo.” Scott si imbronciò, facendo però quello che gli era stato chiesto. “Perché il preservativo? Non lo usiamo quasi mai.” Ridacchiò, mentre prendeva il necessario e si slacciava i calzoni nel mentre. “Lo sai, tesoro. Se non siamo in casa il preservativo ci va sempre.” “Ma puoi rimettermi il plug, no?” lo tentò quel piccolo demone, spalancando le gambe e spostando l’elastico delle mutandine quel tanto da mostrargli la base del plug gioiello che gli aveva regalato. “Non è la prima volta che mi vieni dentro e poi me lo fai tenere così.” Jesse, a sua discolpa, era solo un uomo. E non era venuto lì e subito solo perché aveva abbastanza autocontrollo sulle sue parti basse, ma non ancora per molto a essere onesti. “Sei un demonio.” Per tutta risposta, Scott gli scoccò un bacio e si mise a carponi, culo in aria e tenendo l’elastico degli slip con le dita. “Sì, e non mi pare ti dispiaccia. Vedrai, Jessie. Non dovrai nemmeno preoccuparti di far raffreddare il cibo che hai portato.” “Ah no?” mormorò, inginocchiandosi dietro a quel culo perfetto con solo i jeans slacciati e il cazzo di fuori. “Come mai?” “Perché lo voglio duro e veloce.” Jesse era una persona semplice. Un tempo Kayla gli diceva che aveva solo due neuroni entrambi deputati al funzionamento del suo cazzo. Il resto del suo corpo doveva arrangiarsi per i fatti suoi. Beh, non poteva darle torto. La sola vista di Scotty in quella posizione, le parole luride che gli uscivano dalla bocca lo fecero passare da uomo arrapato a cavernicolo in due secondi netti. Affondò le dita nelle cosce bianche di Scott e si premette contro di lui. Quella sola pressione era abbastanza a spingere il plug, muoverlo dentro di lui. Ah, era soltanto l’inizio. Aveva detto duro e veloce? L’avrebbe avuto duro e veloce. “Muoviti,” lo provocò quel demonio, premendosi contro di lui. Jesse ringhiò forte e gutturale e si affrettò a prendere un po’ di lubrificante, facendolo colare direttamente dalla boccetta in mezzo alle sue natiche e sul plug. Scott venne scosso tutto da un lungo brivido e si premette ancora indietro. “Sai cosa significa ‘duro e veloce’? Significa che mi levi questo plug e mi fotti fino alle lacrime. Vuoi un disegnino?” Jesse gli schiaffeggiò una natica prima che Scott potesse finire la frase. Lo schiocco risuonò con forza e riuscì a zittire il ragazzo per un istante. Poi Jesse colpì anche l’altra natica, stampandovi un grazioso segno rosa e Scott aprì la bocca e iniziò a gemere e mormorare. “Molto meglio così,” ringhiò Jesse, prima di afferrare la base del plug e girarla, muoverla in un modo che sapeva essere irresistibile. Scott si tese tutto, premendosi contro di lui e mormorando parole sconnesse. Quando finalmente Jesse tirò via il plug sembrava quasi che il ragazzo fosse già pronto a venire. “Nossignore, non ti ho dato il permesso.” Jesse afferrò la sua erezione e la strinse alla base, mentre gli cacciava dentro due dita dell’altra mano per assicurarsi che fosse ben allargato. Lo era. “Jessie…” Scott era un bellissimo disastro: rosso in faccia e sul petto, spettinato e beh, a novanta su una coperta da campeggio e pronto per lui. Jesse non attese oltre. Lo penetrò con facilità grazie al plug, gli strinse la vita con un braccio e iniziò a muoversi. Proprio come voleva Scott: spinte veloci e secche che non gli davano requie e lo spostavano un po’ da terra con ogni bordata. “Cristo santo, è tutto quello che sai fare?” lo provocò Scott, ma dal fiato corto e gli occhi appannati, Jesse dedusse che era tutta scena. Però era troppo infoiato per utilizzare raffinate tattiche di seduzione, così si limitò ad aumentare il ritmo finché il suo adorato non si ritrovò con la faccia nella coperta e il culo martellato. “Occhio a quello che chiedi, Scotty” ansimò. Jesse si sentiva potente in quella posizione, adorava averlo alla sua mercé, godeva nel sapere che quel piccolo culo bianco e stretto era suo e di nessun altro. “Se non fai il bravo… potresti ottenerlo.” In tutta risposta, Scott scoppiò in una risata rauca. Alzò appena la testa per mostrargli un sorriso lento e pericoloso, pieno di voglia. “Non sono un bravo ragazzo, daddy. Dovresti ormai saperlo che sono una troia.” Jesse voleva morire. E risorgere. E magari anche ascendere ai cieli. Quel moccioso irriverente e sboccato era perfetto per lui, da ogni porcata che pronunciava al modo in cui non si vergognava di chiedere quello che voleva. E da quando quello che voleva era farsi scopare quel culo che per un anno intero gli aveva negato… beh, chi era Jesse per dire di no? “Ti amo, sai?” ringhiò, aumentando il ritmo delle spinte e ignorando le mutandine ormai totalmente inzuppate. Non gliele aveva nemmeno levate, perché gli piaceva prenderlo quando le aveva ancora indosso. Era lurido e sexy, nel modo in cui piaceva a entrambi e cazzo, era innamorato pazzo. Scott si spinse all’indietro per andargli incontro. “Ti amo anche io. Sto venendo…” Jesse mise una mano davanti al corpo dell’altro e gli bastò masturbarlo giusto un paio di volte, prima di vederlo tendersi ed emettere il gemito più sexy che avesse mai sentito. Il modo in cui il culo di Scott gli stritolò l’uccello in una morsa feroce lo portò oltre il limite nel giro di pochissimo, facendolo affondare fino a riempirlo del proprio seme. Cazzo, era fantastico. Scott crollò sotto di lui con la faccia premuta nella coperta e un’espressione di pura estasi. Jesse rotolò di fianco per non schiacciarlo sotto il proprio peso ma lo attirò a sé e lo fece voltare per riempirgli la faccia di baci. Ci mancava tanto così che Scott facesse le fusa come un tenero gattino tanto era rilassato e felice tra le sue braccia. Jesse gli passò le mani nei riccioli neri tutti spettinati, gli accarezzò le guance e gli baciò le mani, un bacio su ogni nocca. Scott ridacchiò e riaprì gli occhi a mezz’asta, terribilmente azzurri sotto le ciglia nere. “Mi sa che mi è venuta fame,” disse il ragazzo. Un secondo dopo un profondo brontolio venne dalla sua pancia piatta e bianca. “Beh, sei tu che hai voluto il dolce prima di mangiare,” rispose Jesse. Avvolse Scott nella coperta e si rassegnò a stendere la tovaglia direttamente sul telo impermeabile che aveva messo a terra. Scott scrollò le spalle, impunito. “Cavalcare fa venire fame, Jessie.” FINE
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December 2023
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