La prima notte di nozze tra Scott e Jesse. Con i protagonisti de "La Scommessa", un breve racconto erotico commissionatoci dal nostro Ko-Fi. Quando Scott era finito di proposito addosso a Jesse Mercer quella prima sera alla festa di Kayla, l’ultima cosa che si sarebbe immaginato era che il daddy ricco e tatuato a cui aveva succhiato il cazzo sarebbe diventato suo marito, due anni più tardi.
Con ogni probabilità, se avesse avuto modo di incontrare il sé del passato e dirglielo, come minimo si sarebbe riso in faccia da solo. E invece eccolo lì, un fascio di nervi che si guardava allo specchio, vestito con un perfetto completo tre pezzi bianco e il gilet argentato. “Stai benissimo,” disse Lance al suo fianco, tutto affaccendato a sistemargli il nodo Windsor della cravatta e un paio di riccioli neri ribelli. “Non azzardarti a metterti a piangere adesso.” Scott lo guardò nel riflesso e si morse il labbro inferiore per trattenere a stento il tremito. “Non lo faccio solo perché poi ti metti a piangere pure tu.” “Non possiamo piangere al tuo matrimonio, Scotty! È un’occasione felice” “Lo so bene,” rispose, lisciando il tessuto della giacca con una mano. “Sono così felice che potrei piangere per ore. Non è assurdo?” Lance gli strinse con affetto una spalla. “Assolutamente no. È bello vederti così.” Scott gli si lanciò tra le braccia per farsi stringere. Era ridicolo, ma era così emozionato da avere seri problemi a non scoppiare in lacrime. Era così felice da non riuscire a processare l’informazione correttamente. Si stava davvero sposando a ventitré anni? D’altra parte i due anni che erano appena trascorsi avevano portato enormi cambiamenti nella sua vita e in quella di Lance. Entrambi erano passati dall’essere ragazzini ricchi e viziati a uomini giovani con brillanti prospettive per l’avvenire. Dopo la sua sfortunata parentesi di relativa povertà, Scott era tornato a studiare e si era laureato velocemente e bene solo pochi mesi prima. Aveva raffinato il suo progetto di creare una catena di ristoranti e caffetterie sostenibili ed etiche e aveva aperto i primi due locali a New York. Inoltre collaborava con lo staff di Jesse per la gestione del ranch e delle aziende collegate. In un anno aveva presenziato a più consigli di amministrazione di quanto avesse mai fatto il suo futuro marito da che aveva ereditato tutto quel ben di Dio. “Dai su,” disse Lance, rimettendolo in piedi e lisciandogli il completo addosso. Se possibile era diventato ancora più alto, grosso e sexy. Il suo tira e molla con Kayla Sutherland era ormai argomento comune sulle pagine di tutti i tabloid, che adoravano paparazzarli all’uscita di un teatro o di un ristorante e persino seguirli se andavano in vacanza da qualche parte. Kayla si divertiva un mondo e Lance, vanitoso com’era, non era precisamente da meno. Anzi, i due avevano intenzione di organizzare un matrimonio ‘segreto’ e poi invitare soltanto pochi giornalisti ben selezionati. Avrebbero senza dubbio generato un hype pazzesco. Scott aveva preferito qualcosa di più raccolto, anche se non si poteva dire che fosse sobrio. Avevano trovato un posto che in origine era un vivaio, tutto serre del secolo prima amorevolmente ristrutturate, padiglioni pittoreschi e giardini inglesi dall’aria fiabesca. Il tema era tutto opera di Scott, con decorazioni a forma di luna e stelle e l’aria di ritrovarsi tra le fate. Ci aveva messo una vita, ma era stato anche un modo per distanziarsi dal mondo di lustrini da cui proveniva. In un certo senso, con quella tematica naturale si era voluto avvicinare a Jesse. Tirò un ultimo sospiro e decise che era pronto. “Ok. Ok, andiamo.” Lance gli fece un mezzo inchino scherzoso. “Dopo di te, principessa.” “Non chiamarmi così.” “Giusto, è Jesse quello che può farlo,” ghignò l’altro e Scott roteò gli occhi al soffitto, non prima di essere arrossito come un peperone. Quello che faceva in camera da letto con Jessie non era affare di Lance da un bel pezzo, ormai. Li aspettavano tutti nel giardino, seduti in modo ordinato di fronte l’arco bianco e decorato da eleganti rose inglesi. Da una parte c’erano gli amici e gli zii di Jesse, riconobbe anche un paio di suoi colleghi di lavoro. Dall’altra parte c’erano invece i parenti e gli amici di Scott, con suo padre tutto in ghingheri e sua madre che per una volta aveva abbandonato l’aria glaciale ed era diventata un tutt’uno lacrimoso con il suo fazzoletto di stoffa. Scott si sentiva i palmi delle mani sudati, nonostante quella più grande e calda di Lance fosse alla base della sua schiena e lo spingesse in avanti con delicatezza. Perché in mezzo a quel corridoio di persone… c’era Jesse, vicino al prete. Tutto il nervosismo lo abbandonò di colpo, sostituito da una forte emozione che non sapeva districare dal groppo in gola. Jesse era magnifico, come sempre. Anche lui vestito di bianco, ma con una bolo tie fermata da una testa di bufalo d’argento che già a distanza gli faceva venire voglia di scoppiare a ridere. Garantito che ai piedi aveva stivali da cowboy bianchi. Percorse la distanza tra loro come su una nuvola guidata da Lance verso il suo sposo che gli sorrideva e gli tendeva la mano, ma apparentemente pure lui non era messo tanto meglio a stato emotivo. Cristo, era così bello sorridersi come due stupidi innamorati. Lance si allontanò per prendere posto come testimone, contrapposto a Kayla, e Scott lasciò che Jesse afferrasse la sua mano con la propria — grande e calda — e lo aiutasse a fare i due gradini di legno che li separavano. “Siamo pronti, dunque?” sorrise il prete, guardando verso entrambi. Scott alzò lo sguardo per incontrare quello di Jesse. Era così caldo e innamorato che nemmeno quella stupida testa di bufalo potè impedirgli di arrossire dalla testa ai piedi e sentirsi gli occhi di nuovo pieni di lacrime. Era buffo. Era un ragazzo viziato cresciuto nel privilegio e nella mancanza di responsabilità; era molto maturato negli ultimi anni, ma restava un giovane privilegiato, certo molto più idealista di due anni prima, ma pur sempre abituato ad avere tutto nella vita. Eppure, quel calore intenso e dolcissimo che rischiava di struggergli il cuore e chiudergli la gola proprio al momento dei voti nuziali non l’aveva mai provato prima. Nessuna auto di lusso, nessun abito firmato, nessuna scuola prestigiosa o fondo fiduciario aveva mai avuto il potere di farlo tremare in quel modo. Chi diceva che i soldi non facessero la felicità mentiva — ovviamente — perché senza soldi era molto difficile anche soltanto ipotizzare la felicità. Scott lo sapeva molto bene. I mesi in cui aveva lavorato doppi turni per raggranellare pochi spicci e aveva diviso un appartamento cadente con cinque persone gli ricordavano quanto fosse importante costruire qualcosa di solito, duraturo e redditizio. E quanto fosse bello avere la possibilità di aiutare altri che non avevano una comoda rete di sicurezza su cui ricadere, che non potevano neanche aspirare a un centesimo degli agi di cui lui poteva circondarsi. Eppure, la promessa negli occhi di Jesse era così evidente, così aperta e sincera da togliergli il respiro più di ogni altra argomentazione razionale. “S-sì. Non sono mai stato così pronto,” mormorò Scott, con un piccolo sorriso. *** La cerimonia era stata bellissima. Alla fine tutti i parenti di Scott piangevano disperatamente e suo padre aveva un luccichio sospetto negli occhi. I suoi fratelli maggiori erano arrivati da ogni angolo degli Stati Uniti e sua sorella si era scomodata con tutta la famiglia, comprensiva di gemelli di due anni e un corgi, per venire alla cerimonia dal Regno Unito. Il ricevimento successivo alla celebrazione forse era meno formale di quanto tutti i parenti di Scott avessero immaginato. A dire il vero sembrava più il ballo in un fienile, per quanto in un luogo molto più elegante. Ma scorrevano anche fiumi di alcol e dopo qualche minuto di perplessità la mamma di Scott si ritrovò a ballare con Jesse su musiche country che Scott avrebbe odiato in qualsiasi altro momento della propria vita, mentre Lance cercava di spingere Kayla dietro un cespuglio e infilarle una mano sotto il vestito. Sempre i soliti. “Sei splendido,” gli sorrise Jesse, facendogli fare una piroetta e danzando come se niente fosse su quei terribili stivali da cowboy bianchi. “Stanco?” Scott scosse la testa e gli angoli della bocca gli si arricciarono in un sorrisino malvagio. “Un po’, ma non abbastanza da farmi desistere dal pensiero di quello che ci aspetta dopo.” La presa di Jesse sui suoi fianchi si fece più salda e quasi gli fece mancare il fiato, visto quello che portava sotto gli strati di abiti. Una piccola sorpresa per la serata. “Mmmh… sarei quasi tentato di mollare qui tutti e portarti in camera da letto.” “Caro il mio cowboy, la ragione mi dice di aspettare ancora un po’, ma il mio cazzo non si succhia da solo e ho tanta voglia di averti solo per me,” gli ghignò in risposta. Forse nessuno dei due era una cima in esternazioni romantiche, anzi, erano più le uscite laide che altro. Però il modo in cui Jesse lo guardò, quel misto tra il ti amo più della mia stessa vita e il voglio scoparti qui in mezzo alla pista da ballo, valeva più di tanti discorsi melensi e dichiarazioni d’amore. Jesse riuscì, in modo molto eroico a dire il vero, a finire almeno la canzone sulla quale stavano ballando, prima di trascinarlo fuori dalla pista e poi dentro casa. La casa di Jesse era enorme e difficilmente gli ospiti avrebbero smesso di divertirsi, mentre loro salivano i gradini che li avrebbe portati nella loro camera da letto. Si baciarono per tutto il tragitto e a Scott iniziava a mancare un po’ il fiato, non solo per l’eccitazione. Suo marito si tolse la giacca e la bolo tie, scalciando poi gli stivali. Si tirò su le maniche della camicia — Scott si morse un labbro a quel gesto — e rimase a osservarlo mentre lui stesso si levava i vestiti. Prima la giacca, poi le scarpe. Slacciò i calzoni, permettendo che il pizzo bianco delle mutandine da donna che indossava spuntasse per lasciar intendere una deliziosa promessa. Infine la parte più difficile, la camicia. “Tutto bene? Ti vedo pensieroso,” gli chiese Jesse, inclinando la testa di lato. Alcune ciocche di capelli castani sfuggite dal manbun gli circondavano il viso, rendendolo se possibile ancora più affascinante. “Se sei stanco possiamo anche rimandare a domani.” Scott scosse la testa e scoppiò in una risatina che gli fece mancare il fiato. “Non è per questo. Solo… guarda, ho una cosa per te.” Aprì i lembi della camicia e, mentre se la sfilava, vide le pupille negli occhi di Jesse dilatarsi per l’eccitazione. Il corsetto bianco perla, quasi virginale che aveva scelto per quel giorno speciale, gli stringeva la parte superiore del corpo in una morsa tenace, ma senza essere scomodo. Anzi, in realtà non si era nemmeno accorto di averlo indosso per la maggior parte del pomeriggio. L’orlo superiore del corsetto arrivava a malapena ai capezzoli, lasciandoli appena scoperti a strofinarsi contro il tessuto. Il contrasto migliore però erano le due barrette dorate che li foravano entrambi, un regalo che si era fatto sei mesi prima e che ci aveva messo un sacco a guarire. “Ti piace?” gli domandò, mentre si abbassava i pantaloni e li scalciava via per rimanere in mutandine, il cui decoro richiamava lo stesso del corsetto, insieme al reggicalze che teneva in precario equilibrio un paio di calze vintage senza elastico, anch’esse bianche. “Mio Dio, Scotty, come sono felice di aver ascoltato Kayla quella volta e di essere andato a quella stupida festa,” disse Jesse. Scott si lasciò avvolgere dal suo sguardo caldo, offrendo ogni dettaglio al suo scrutinio. “E io devo ringraziare Lance, a quanto pare. Ma perché non facciamo che tu ringrazi me e io ringrazio te?” disse il ragazzo, sedendosi sensuale sul bordo del letto. Jesse fu lesto a raggiungerlo e a inginocchiarsi ai suoi piedi. Gli prese le mani e gliele baciò con dolcezza, sfiorandogli i polsi con le labbra. Il più delle volte qualsiasi tentativo di romanticismo finiva dove iniziava la libido insaziabile di entrambi, e a giudicare da come si erano divorati fino a poco prima anche questo sarebbe stato il caso. Ma quel gesto così tenero ebbe il potere di commuovere Scott, che liberò una mano per passarla nei capelli dell’altro, impegnato a riempirgli di baci l’interno delle cosce. “Sei bellissimo,” mormorò Jesse tra le sue gambe. “Sei bellissimo con un completo firmato, sei bellissimo così, sei bellissimo senza niente indosso se non le mie mani.” “Se mi fai piangere durante la mia prima notte di nozze giuro che ti ammazzo,” rispose Scott. Gli tremava la voce e voleva evitare con tutto se stesso di commuoversi di nuovo. Non era mai stato facile alle lacrime, non aveva intenzione di iniziare adesso. Jesse ridacchiò contro la sua pelle e gli assestò un morso per vendetta. “Oh, fidati, piangerai prima della fine della serata,” disse l’uomo, con il suo solito tono spavaldo. Scott roteò gli occhi al cielo e sollevò una gamba per appoggiarla alla spalla solida dell’altro. “Come ho già detto prima, il mio cazzo non si succhia da solo.” “Romantico,” bofonchiò Jesse, poi finalmente smise di parlare e si mise al lavoro. Se c’era una cosa che Scott adorava era quando Jesse si metteva in testa di farlo impazzire con le mani o con la lingua attraverso qualche sottile strato di stoffa. Era ciò che intendeva fare in quel momento, era chiaro. L’uomo era incastrato tra le sue gambe e gli stringeva possessivo le cosce bianche, occupatissimo a leccare la sua erezione attraverso il pizzo bianco di quelle virginali mutandine. Le quali, per inciso, non facevano nulla per essere comode o contenere la sua erezione. Era una cosa che gli piaceva, lo deliziava sentirle sfregarsi contro di lui dentro i pantaloni. Si sentiva sexy e carino. Per Jesse però a quanto pareva era magnifico, perché finì di giocare con il pizzo per tirare l’elastico sotto le palle di Scott e succhiarlo sul serio. Se tanto gli dava tanto, non si sarebbe nemmeno premurato di levargli l’intimo o il corsetto, prima di passare alle cose serie. Prima che Jesse vincesse la loro scommessa guadagnandosi l’onore e l’onere di avere il culo di Scott, per mesi interi erano andati avanti solo a sesso non penetrativo. E Jesse era un uomo che quando si metteva in testa di ottenere qualcosa, lo faceva con lo stesso ottimismo di un panzer da guerra nel pieno di una battaglia. Scott si inarcò sul materasso, stringendo le dita tra le ciocche di capelli del marito — marito, che parola strana per lo Scott del passato — e lasciandosi andare sotto di lui. Jesse abbandonò la sua erezione per infilare un dito nelle mutandine ed esporre la sua apertura, leccandola con un colpo di lingua. Rabbrividì di puro piacere. Se c’era un passatempo preferito di Jesse Mercer, quello era mangiargli il culo e insomma, chi era lui per dire di no a cento chili di muscoli sotto forma di un daddy tatuato tutto intento a prepararlo per la loro notte di nozze? La parte che lo faceva ammattire era anche il lieve bruciore lasciato tra le cosce dal ripetuto passaggio della barba del consorte, che gli stava arrossando la pelle delicata. “Se non mi scopi giuro che… che…” Jesse ridacchiò, con ancora la lingua infilata nel suo culo. Il gesto riverberò dentro Scotty, facendolo sobbalzare piacevolmente. Si staccò da lui e si passò una manata sulla faccia. “Tu cosa, dolcezza?” gli sorrise il bastardo. “Lo sappiamo entrambi cosa ti piace. E io te lo darò.” Scott si morse il labbro con forza e fissò il compagno. “Fila a lavarti quella bocca e poi torna qui subito”. Jesse non se lo fece dire due volte. Scattò su come una molla e corse a lavarsi faccia e bocca. Di lì a due minuti era di nuovo su di lui, tra le sue braccia e decisamente troppo vestito. “Non mi piacciono questi vestiti,” mugugnò Scott. Aveva infilato le dita tra i bottoni della camicia di Jesse e ne tirava l’orlo senza alcun effetto pratico. Jesse, impegnato a disegnare un perfetto succhiotto viola in mezzo al suo sterno, ignorò le sue proteste. “Ho detto che non mi piacciono i tuoi vestiti,” ripetè Scott, petulante. “Avevamo un piano qui, e questo piano prevede che mi scopi. E non puoi farlo vestito.” “A tempo debito,” rispose Jesse, divertito. Scott si inarcò tutto sotto di lui, premendosi contro la sua erezione ancora coperta dai pantaloni. L’infame adorava il contrasto tra la pelle nuda di Scott e la grana dei propri abiti e Scott — beh, Scott ovviamente sapeva benissimo come sfruttare a piacimento quel kink. Ma in quel momento desiderava una sola cosa, avere suo marito tra le braccia senza quella stupida camicia e quelle stupide braghe. “Devo fare tutto io qua,” borbottò Scott, affaccendandosi per slacciargli ogni bottone a disposizione. Jesse gli rendeva la cosa ancora più difficile del previsto, perché aveva iniziato a tormentare prima l’uno e poi l’altro dei suoi piercing. Jesse era impazzito quando Scott aveva deciso finalmente di farli, e a dirla tutta era stato anche immensamente paziente durante la lunga guarigione, quindi adesso Scott era più che felice di ricompensarlo. “Tutto tu?” rise l’altro. Si tirò su e si sfilò la camicia, mostrando il petto abbronzato e le braccia forti, le spalle ben tornite. Scott si inarcò di nuovo. Cristo, quanto lo amava. “Non mi risulta.” Con una sola manata Jesse lo ribaltò sul letto, le mani strette sul piccolo culo bianco di Scott, e si chinò a baciarlo come se volesse divorarlo. “Guarda che avere questo aspetto è un lavoro a tempo pieno e ne ho già uno vero,” bofonchiò Scott, sotto l’assalto dell’altro che lo riempiva di baci e di morsi e lo graffiava ovunque con la barba ruvida. Jesse ridacchiò ma non gli rispose, concentrandosi piuttosto a continuare con le dita il lavoro che aveva iniziato con la lingua. Scott perse temporaneamente la parola mentre si spingeva avido contro le sue dita. Il fatto che i piercing strusciassero contro il tessuto delle lenzuola non aiutava proprio per niente, per cui si ritrovò imprigionato in un loop di piacere dove si spingeva contro le grosse dita di Jesse e poi contro il materasso. “Cristo, dovresti vederti” mormorò il suo novello sposo alle sue spalle. “Non riusciresti a sembrare vergine nemmeno vestito da suora.” Scott ridacchiò, senza fiato. “Vuoi che mi metta un costume da suora sexy?” “Ecco, appunto.” “Invece di dire sciocchezze, dammi il tuo cazzo,” disse ancora Scott. Stava piagnucolando e non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura. Per tutta risposta, Jesse sfilò le dita dal suo corpo e si allungò verso il comodino, dove il tubetto del lubrificante stava in bella vista a portata di mano. Poi gli schiaffeggiò una natica, che divenne subito rossa in contrasto col bianco delle mutandine. “Sta’ bravo, ho detto. La saliva non è un lubrificante sufficiente.” Avrebbe voluto rispondergli che non gliene fregava un cazzo, ma Jesse era ferreo su certi argomenti, per cui si morse il labbro e annuì. Un fruscio alle sue spalle gli segnalò anche che finalmente il suo sposo si era deciso a levarsi almeno la camicia, ma non i pantaloni. “Dai, Jessie… ti voglio nudo.” L’altro gli strappò un singulto, infilandogli dentro due dita ben lubrificate e iniziando a fare sul serio. “E io voglio godermi lo spettacolo, tesoro.” Scott non riuscì più a rispondere e si limitò a sospirare tra le lenzuola cercandone un angolo ancora fresco su cui strusciare il viso. Le barrette ai suoi capezzoli sfregavano contro le lenzuola a ogni movimento e ogni volta che si ritraeva dall’essersi spinto contro le dita di Jesse, sfregava invece il cazzo contro il cotone. In un altro momento sarebbe stato felicissimo di portare avanti quella situazione fino ai limiti, farsi ridurre a una massa tremante e lacrimosa di piacere possibile ma non raggiungibile. Ma aveva altre priorità. Per esempio, farsi riempire dal cazzo di suo marito. “D-dai Jessie, ti p-prego,” mormorò Scott. Si premette indietro per averne ancora, per averne di più e per costringere Jesse a sbrigarsi. Ancora un po’ e non avrebbe avuto nessuna remora a implorare. Il suono della zip dei pantaloni di Jesse lo fece quasi sbavare nelle lenzuola — Cristo sì, se l’era meritato, era stato bravo, si meritava una ricompensa — e quando finalmente lo sentì premere caldo e duro contro di sé si lasciò sfuggire un miagolio ben poco dignitoso — per quanta dignità potesse avere ancora a culo all’aria e alla mercè del suo splendido marito. “Dai Jessie,” disse Scott dalle profondità delle lenzuola. “Devo mandare una partecipazione di nozze pure al tuo cazzo?” L’altro rise, profondo e divertito e si chinò su di lui, stringendogli la vita sottile con un braccio e aiutandosi con l’altra mano per iniziare finalmente a penetrarlo. La sensazione era, come sempre, paradisiaca. Perché ci avesse messo così tanto a dargli culo quando invece era una cosa così pazzesca era oltre i limiti della sua comprensione. L’uccello di Jesse era grosso, lo riempiva in modi che nessuno dei giocattoli che avevano nel comodino poteva compensare. All’improvviso Jesse lo tirò su e Scott si ritrovò seduto sulle cosce dell’altro, martellato da dietro e con le agili dita del consorte a stuzzicargli il petto. I piercing decisero che era un ottimo momento per farlo impazzire, mentre Jesse li stringeva e torceva con estrema delicatezza, ma comunque in grado di strappargli sensazioni estreme. “Aspettavo da mesi che guarissero,” gli ansimò all’orecchio, senza smettere un secondo di scoparlo a morte. “Ce l’avevo duro al solo pensiero. Te lo prometto, Scotty, la prossima volta ti farò venire solo con questi stramaledetti piercing.” Il solo pensiero obbligò Scott a stringersi l’erezione, gemendo in risposta. Scenari molto particolareggiati si fecero strada nella sua mente, ma proprio quando stava per venire, Jesse scacciò la sua mano. “Ti prego, io…” iniziò a piagnucolare, ma le mani del marito furono ai bordi del corsetto. Con un’agilità che non gli credeva appartenere, Jesse gli tirò i lembi del tessuto: i ganci si aprirono uno dopo l’altro e tutto l’ossigeno che Scott non sapeva di stare trattenendo gli invase i polmoni insieme a un orgasmo accecante. “Oh cazzo cazzo cazzo…” Jesse ridacchiò, spingendolo di nuovo carponi e lanciando via il corsetto, prima di tirargli su bene il culo e continuare quello che stava facendo. “Breath play, tesoro? Scommetto che non lo sapevi nemmeno.” No, non lo sapeva, non ne aveva alcuna idea, ma il piacere lo aveva avviluppato in una morsa assurda. Rimase comunque lì, culo in aria e il cazzo gocciolante dopo un orgasmo che non aveva richiesto nemmeno una mano. Santo cielo, Jesse. “Ti amo, dolcezza,” gli ansimò suo marito all’orecchio, proprio dietro i riccioli neri dei suoi capelli, ormai bagnati di sudore. “Ti amo tantissimo.” Scott era oltre le parole. Era oltre ogni sensazione e dopo tutta l’attesa e le provocazioni quell’orgasmo fulminante giunto al di fuori di ogni suo controllo stava per spingerlo in un beato torpore. Le ultime spinte di Jesse lo fecero sussultare e piagnucolare. Quando lo sentì venire, tutto intorno a sé e dentro di sé, si lasciò sfuggire un gemito e un lamento. Il suo cazzo aveva valorosamente tentato di rizzarsi di nuovo ma, no, Scott era troppo disfatto. Jesse ebbe per una volta la buona grazia di non crollargli addosso, ma di spingere entrambi di lato in modo che Scott potesse raggomitolarsi contro il suo torace ampio e strusciare la faccia nell’incavo tra collo e spalla. L’uomo gli passò le dita nei riccioli umidi e gli riempì il viso di baci finché Scott non riuscì a socchiudere gli occhi sotto le ciglia nerissime, imperlate di qualche lacrimuccia. Parlare era fuori questione per il momento. Glielo avrebbe detto, un po’ più tardi, gli avrebbe detto e dimostrato di preciso quanto lo amava e quanto era eccitato all’idea di essere suo marito. Marito. Due anni prima, quando era arrivato alla festa di Kayla Sutherland con tutta la spocchia e la noia di un ragazzino viziato e annoiato, certo non aveva pensato che avrebbe trovato un compagno per la vita piuttosto che un semplice sugar daddy. Gli avrebbe detto quanto gli aveva fatto bene il solo averlo incontrato, la loro piccola stupida scommessa e persino i loro litigi e fraintendimenti. Erano cresciuti entrambi e adesso si avviavano insieme lungo una strada piena di felicità e successi. Ma glielo avrebbe detto dopo. Per ora, aveva soltanto le forze di sorridere un po’ tremulo e sporgersi a baciarlo. FINE
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Picnic è un racconto scritto da Juls SK Vernet e Daniela Barisone su commissione (per commissionarci un racconto clicca qui). I protagonisti sono Jesse e Scott de "La Scommessa" delle stesse autrici e la storia si pone in canon dopo gli eventi del libro. PicnicJesse ridacchiò all’espressione sconvolta di Scott. “Che c’è che non va? Non ti piace l’idea di un picnic? Solo io e te, nel raggio di miglia?”
“Ma… la natura,” Scott arricciò il naso. “Gli insetti.” “Sì beh, esistono anche loro,” rispose, divertito. Erano fuori dalle stalle della sua casa in Iowa, molto lontani dalle comodità cittadine del loro appartamento a New York a cui Scott era abituato. “Sai cavalcare? Qualcosa oltre a me, ben inteso.” Scott, bontà sua, arrossì in maniera furiosa. Jesse lo trovò delizioso e incredibile allo stesso tempo, perché dopo tutto quello che avevano fatto insieme era ridicolo vedere uno come Scott Brennan arrossire come un quindicenne a una battuta sporca. “Ho fatto equitazione, ti ricordo chi è la mia famiglia,” rispose l’altro, piccato. Incrociò le braccia al petto e guardò i due cavalli con una certa ansia. Jesse si lasciò scappare un altro risolino. “Allora saprai che quelle scarpette da principessa che hai indosso non vanno bene per cavalcare.” Il giovane si guardò le Oxford di pelle nera che indossava come un guanto, decisamente fuori posto nel cortile fangoso delle stalle del ranch di Jesse. “Cos’hanno le mie scarpe che non vanno?” “Niente, niente. Vieni qui.” Jesse scosse la testa ed entrò all’interno. Una rastrelliera attaccata al muro teneva appesi scarponcini di tutte le misure in bella mostra, un’utile idea poiché a Jesse piaceva parlare di affari con i suoi investitori andando a cavallo. E tutti loro indossavano Oxford di pelle in varie gradazioni di colore, proprio come Scotty. Ne prese un paio e lo allungò al compagno. “Queste dovrebbero essere del tuo numero. Lì c’è una panca. Mentre ti cambi vado a sistemare i cavalli.” Scott borbottò qualcosa sulla falsariga di “Ma perché non potevamo andare in macchina”, ma Jesse lo ignorò con un sorriso, andando a controllare che le sacche appese alle selle contenessero tutto quello che serviva loro. Aveva organizzato quel picnic con cura maniacale, voleva che fosse perfetto e una vera avventura per Scott. Aveva predisposto tutto, dalla tela cerata alla coperta di morbido pile su cui sedersi, agli spuntini e le bevande, tutto ordinatamente appeso ai cavalli. Non sarebbe stato un viaggio lungo, meno di dieci minuti al massimo, ma voleva che fosse bello. Bello, bellissimo. Per il suo adorato Scott. Quest’ultimo uscì dalla stalla con il broncio, vestito a festa e con un paio di scarponcini marrone chiaro che facevano a pugni con tutto il resto. “Non posso… non posso salire a cavallo.” Jesse inclinò la testa di lato. “Perché? Hai paura? Se è per questo posso…” “No, no. Non è per questo, è per…” fece un cenno vago con la mano, infine sbuffò sconfitto. “Stamattina ho messo il… sai, il plug. Quello che mi hai regalato.” “Beh.” Jesse gli rivolse un sorriso che sarebbe stato bene a uno squalo. “Vorrà dire che sarà una cavalcata molto interessante.” Scott arricciò il naso e gli fece una linguaccia. “Se sapevo che dovevamo andare fuori a cavallo magari evitavo,” borbottò il ragazzo, poi montò in sella con una certa scioltezza. Jesse non avrebbe saputo dire che indossava un plug — e se ricordava bene quello che gli aveva regalato non era proprio una taglia da principianti — se non per il fatto che lo vide fare una smorfia mentre si sistemava in sella e forse sedersi un po’ più in avanti di quanto fosse necessario. Ma lo sapeva soltanto perché lo conosceva nei minimi dettagli. Si avviarono lungo il breve tragitto al piccolo trotto. C’era qualche ostacolo da saltare ma Scott se la cavò egregiamente. Certo sembrava più abituato alle gare di dressage che a correre libero per le campagne, ma Jesse considerò che era un’altra cosa che avrebbero potuto fare insieme, un’altra cosa che avrebbe potuto insegnargli. Da quando stavano insieme Scott — che pure si divertiva un mondo a fare ancora la parte del moccioso viziato quando erano assieme — era cresciuto ed era fiorito oltre ogni rosea aspettativa. Il ragazzetto malizioso che l’aveva sedotto alla festa di Kayla Sutherland non era sparito nel nulla ma si era trasformato in un uomo giovane, bellissimo e pieno di capacità da sfruttare per il proprio futuro. Scott aveva ripreso a studiare, bruciando le tappe per recuperare il tempo perso e aveva cambiato il proprio corso di studi per selezionare qualcosa di più attinente ai suoi nuovi interessi in campo aziendale. Era sveglio, preparato e spesso parlava di cose che Jesse neanche sapeva come si scrivessero, ma per quello c’erano i suoi dipendenti, no? Finalmente sbucarono in un angolo verde tra un immenso campo di granturco sul retro del ranch di Jesse e uno stretto ruscello che divideva la zona coltivata da un appezzamento lasciato al naturale. In quella zona iniziavano delle basse collinette coperte da folta vegetazione e qualche arbusto più alto. “Wow,” disse il figlio della città, guardandosi intorno con grandi occhi azzurri pieni di sorpresa. “Sì beh,” rise Jesse, divertito. “Tutta un’altra cosa rispetto a Central Park, eh?” Scott scrollò le spalle e smontò da cavallo, lasciando la bestia libera di pascolare. Jesse lo vide passarsi le mani sulle chiappe indolenzite e smontò a sua volta, ridacchiando. Lo afferrò per la vita, da dietro, e se lo tirò addosso. Scott sbuffò e finse di dibattersi, per poi spalmarsi con un sospiro beato contro il petto ampio di Jesse. “Ora mi butti su una spalla e mi porti nella tua caverna?” disse l’impunito, sbattendo quelle lunghe ciglia nere sugli occhioni celesti. Jesse gli baciò la guancia. “Forse, ma dovrai avere pazienza.” Scott abbozzò un tenero broncetto rosa, che Jesse si affrettò a baciare. Era tutta scena, ma era divertentissimo. Insieme tolsero l’occorrente per il picnic dalle selle e lo sistemarono a terra. Stesero prima il telo cerato, poi la coperta di pile. Mise le sacche con il cibo e le bevande a terra, ma prima che Jesse potesse anche solo pensare di aprirle, Scott si era levato la maglia a maniche lunghe ed era rimasto a torso nudo. “Ma…” Scott lo fulminò con lo sguardo. “Possiamo mangiare dopo.” “Ma…” ritentò di nuovo Jesse, ma fu distratto dall’agile mossa con cui il ragazzo si tolse gli stivaletti, i jeans e le calze. Era rimasto solo con indosso un delizioso paio di mutandine da donna bordeaux che glielo fecero venire duro in un istante. Scott camminò fino al bordo della coperta e lo fissò con il fuoco negli occhi. “Mi hai fatto cavalcare con un cazzo di plug nel culo e ora pretendi che non sia tutto sottosopra?” Jesse lo afferrò per la vita e lo prese in braccio, godendo del modo in cui Scotty gli cinse i fianchi con le gambe sottili e il collo. Il bacio fu furioso e nessuno dei due avvertì la necessità di prolungare oltre quel momento. Da quando aveva potuto essere dentro di lui per la prima volta, Jesse non ne aveva mai abbastanza. “Sdraiati,” gli ordinò, staccandosi da quella bocca vorace. “Fammi prendere il lubrificante e il preservativo.” Scott si imbronciò, facendo però quello che gli era stato chiesto. “Perché il preservativo? Non lo usiamo quasi mai.” Ridacchiò, mentre prendeva il necessario e si slacciava i calzoni nel mentre. “Lo sai, tesoro. Se non siamo in casa il preservativo ci va sempre.” “Ma puoi rimettermi il plug, no?” lo tentò quel piccolo demone, spalancando le gambe e spostando l’elastico delle mutandine quel tanto da mostrargli la base del plug gioiello che gli aveva regalato. “Non è la prima volta che mi vieni dentro e poi me lo fai tenere così.” Jesse, a sua discolpa, era solo un uomo. E non era venuto lì e subito solo perché aveva abbastanza autocontrollo sulle sue parti basse, ma non ancora per molto a essere onesti. “Sei un demonio.” Per tutta risposta, Scott gli scoccò un bacio e si mise a carponi, culo in aria e tenendo l’elastico degli slip con le dita. “Sì, e non mi pare ti dispiaccia. Vedrai, Jessie. Non dovrai nemmeno preoccuparti di far raffreddare il cibo che hai portato.” “Ah no?” mormorò, inginocchiandosi dietro a quel culo perfetto con solo i jeans slacciati e il cazzo di fuori. “Come mai?” “Perché lo voglio duro e veloce.” Jesse era una persona semplice. Un tempo Kayla gli diceva che aveva solo due neuroni entrambi deputati al funzionamento del suo cazzo. Il resto del suo corpo doveva arrangiarsi per i fatti suoi. Beh, non poteva darle torto. La sola vista di Scotty in quella posizione, le parole luride che gli uscivano dalla bocca lo fecero passare da uomo arrapato a cavernicolo in due secondi netti. Affondò le dita nelle cosce bianche di Scott e si premette contro di lui. Quella sola pressione era abbastanza a spingere il plug, muoverlo dentro di lui. Ah, era soltanto l’inizio. Aveva detto duro e veloce? L’avrebbe avuto duro e veloce. “Muoviti,” lo provocò quel demonio, premendosi contro di lui. Jesse ringhiò forte e gutturale e si affrettò a prendere un po’ di lubrificante, facendolo colare direttamente dalla boccetta in mezzo alle sue natiche e sul plug. Scott venne scosso tutto da un lungo brivido e si premette ancora indietro. “Sai cosa significa ‘duro e veloce’? Significa che mi levi questo plug e mi fotti fino alle lacrime. Vuoi un disegnino?” Jesse gli schiaffeggiò una natica prima che Scott potesse finire la frase. Lo schiocco risuonò con forza e riuscì a zittire il ragazzo per un istante. Poi Jesse colpì anche l’altra natica, stampandovi un grazioso segno rosa e Scott aprì la bocca e iniziò a gemere e mormorare. “Molto meglio così,” ringhiò Jesse, prima di afferrare la base del plug e girarla, muoverla in un modo che sapeva essere irresistibile. Scott si tese tutto, premendosi contro di lui e mormorando parole sconnesse. Quando finalmente Jesse tirò via il plug sembrava quasi che il ragazzo fosse già pronto a venire. “Nossignore, non ti ho dato il permesso.” Jesse afferrò la sua erezione e la strinse alla base, mentre gli cacciava dentro due dita dell’altra mano per assicurarsi che fosse ben allargato. Lo era. “Jessie…” Scott era un bellissimo disastro: rosso in faccia e sul petto, spettinato e beh, a novanta su una coperta da campeggio e pronto per lui. Jesse non attese oltre. Lo penetrò con facilità grazie al plug, gli strinse la vita con un braccio e iniziò a muoversi. Proprio come voleva Scott: spinte veloci e secche che non gli davano requie e lo spostavano un po’ da terra con ogni bordata. “Cristo santo, è tutto quello che sai fare?” lo provocò Scott, ma dal fiato corto e gli occhi appannati, Jesse dedusse che era tutta scena. Però era troppo infoiato per utilizzare raffinate tattiche di seduzione, così si limitò ad aumentare il ritmo finché il suo adorato non si ritrovò con la faccia nella coperta e il culo martellato. “Occhio a quello che chiedi, Scotty” ansimò. Jesse si sentiva potente in quella posizione, adorava averlo alla sua mercé, godeva nel sapere che quel piccolo culo bianco e stretto era suo e di nessun altro. “Se non fai il bravo… potresti ottenerlo.” In tutta risposta, Scott scoppiò in una risata rauca. Alzò appena la testa per mostrargli un sorriso lento e pericoloso, pieno di voglia. “Non sono un bravo ragazzo, daddy. Dovresti ormai saperlo che sono una troia.” Jesse voleva morire. E risorgere. E magari anche ascendere ai cieli. Quel moccioso irriverente e sboccato era perfetto per lui, da ogni porcata che pronunciava al modo in cui non si vergognava di chiedere quello che voleva. E da quando quello che voleva era farsi scopare quel culo che per un anno intero gli aveva negato… beh, chi era Jesse per dire di no? “Ti amo, sai?” ringhiò, aumentando il ritmo delle spinte e ignorando le mutandine ormai totalmente inzuppate. Non gliele aveva nemmeno levate, perché gli piaceva prenderlo quando le aveva ancora indosso. Era lurido e sexy, nel modo in cui piaceva a entrambi e cazzo, era innamorato pazzo. Scott si spinse all’indietro per andargli incontro. “Ti amo anche io. Sto venendo…” Jesse mise una mano davanti al corpo dell’altro e gli bastò masturbarlo giusto un paio di volte, prima di vederlo tendersi ed emettere il gemito più sexy che avesse mai sentito. Il modo in cui il culo di Scott gli stritolò l’uccello in una morsa feroce lo portò oltre il limite nel giro di pochissimo, facendolo affondare fino a riempirlo del proprio seme. Cazzo, era fantastico. Scott crollò sotto di lui con la faccia premuta nella coperta e un’espressione di pura estasi. Jesse rotolò di fianco per non schiacciarlo sotto il proprio peso ma lo attirò a sé e lo fece voltare per riempirgli la faccia di baci. Ci mancava tanto così che Scott facesse le fusa come un tenero gattino tanto era rilassato e felice tra le sue braccia. Jesse gli passò le mani nei riccioli neri tutti spettinati, gli accarezzò le guance e gli baciò le mani, un bacio su ogni nocca. Scott ridacchiò e riaprì gli occhi a mezz’asta, terribilmente azzurri sotto le ciglia nere. “Mi sa che mi è venuta fame,” disse il ragazzo. Un secondo dopo un profondo brontolio venne dalla sua pancia piatta e bianca. “Beh, sei tu che hai voluto il dolce prima di mangiare,” rispose Jesse. Avvolse Scott nella coperta e si rassegnò a stendere la tovaglia direttamente sul telo impermeabile che aveva messo a terra. Scott scrollò le spalle, impunito. “Cavalcare fa venire fame, Jessie.” FINE |
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December 2023
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