Suits è un racconto nsfw richiestoci tramite Ko-Fi. I personaggi presenti sono Tom Elliott e Nick Danse, dalla serie di JBI. Contiene scene di sesso esplicito. Per Nuki La festa di gala dell’FBI non era una novità per niente e nessuno. Ogni anno, puntuali come le tasse, i grandi capi montavano su quel teatrino niente meno che nei pressi della sede di Washington DC. Non nell’Hoover Building, ma in una storica sala ricevimenti adibita per l’occasione, con sfarzosi arredi e lucine colorate per convincere i ricconi che ci partecipavano ad aprire i portafogli e donare in beneficenza una valanga di quattrini.
Nick Danse aveva partecipato a uno solo di quegli eventi, molti anni prima, forse troppi, quando aveva ancora entrambe le gambe ed era a capo dell’HRT. Non era roba per lui allora, come non lo era in quel momento. “Allora Nick… vuoi dirmi cosa ne pensi?” Danse sollevò lo sguardo dal cartoncino di elegante carta goffrata, sopra il quale era scritto l’invito — rigorosamente a mano — in una svolazzante calligrafia corsiva. Incrociò gli occhi con Meloni, il capo della sezione FBI di New York, e rimpianse di aver lasciato le sigarette nel cassetto del suo ufficio. “Cosa vuole che le dica,” rispose con una smorfia. “Di no? Non mi sembra che possa rifiutarmi.” Meloni scosse la testa. “Nick, è una bella occasione, no? Significa che c’è maggior interesse verso il lavoro che svolgi. Significa più soldi per il tuo dipartimento. E per l’intera baracca.” Ovviamente aveva ragione. L’FBI non stava certo male, ma soldi in più significavano dispositivi migliori per i suoi ragazzi, uffici decenti e magari sostituire quella stramaledetta macchinetta del caffè che faceva schifo e che si dovevano tenere per mancanza di budget. Il punto, però, non era quello. “Normalmente ti direi di sì.” Danse posò l'invito sulla scrivania di Meloni. “Solo che mi piacerebbe andarci come rappresentante del mio lavoro. Non perché sono un disabile.” Meloni emise un lungo sospiro. Era una lotta ardua quella che stava per iniziare e da un certo punto di vista Nick lo capiva. Incartargli la stronzata in carta dorata oppure parlare dritto al punto, con la possibilità di offendere chiunque non rientrasse nella classifica eteronormativa da lì fino a dieci palazzi di distanza? Nick si sarebbe giocato le palle che il suo capo avrebbe puntato sulla seconda opzione. “Parliamoci chiaro, Danse.” Meloni aprì un cassetto e tirò fuori un pacchetto di sigarette. Se ne tirò fuori una e poi ne porse un’altra a lui, che gliene fu fin troppo grato. “Sì, ti ho scelto anche per questo, anche se sappiamo tutti benissimo che la tua protesi è stata progettata apposta dalla NASA con i fondi di questa istituzione esattamente per non farti sentire la mancanza della tua vecchia gamba. E rimani comunque più veloce e letale di chiunque qua dentro.” Danse fece un sorrisetto e si accese la sigaretta. “Beh, un sacco di complimenti. Che altro?” Meloni incrociò le braccia al petto e tirò il fumo. “Non mi piace parlare della sessualità dei miei agenti. Non mi piace ficcare il naso.” “John, lo sappiamo tutti che adori farti i cazzi degli altri.” “Sì, ma non in senso letterale. Tu sì. E non solo quelli, da quello che so.” Fece spallucce. “Come dice il detto: in amore e in guerra ogni buco è trincea. Perché stiamo improvvisamente parlando del fatto che mi piacciano sia il cazzo che la fica?” “Beh, è la novità dell’anno, suppongo. L’FBI sostiene l’inclusività dei suoi agenti,” rispose Meloni, con un sorriso. “Un cambiamento che sono stato molto felice di portare con la mia dirigenza. Per cui ho deciso che non solo andrai per dimostrare il tuo lavoro e perché sei disabile, ma anche come quota LGBT della serata. Puoi portarti qualcuno, possibilmente del tuo ufficio.” Il mal di testa stava iniziando a martellargli dietro alle tempie, ma Nick si limitò ad annuire e continuare a fumare. Sapeva che battaglie combattere e mettersi a litigare con quello che gli dava lo stipendio per una cosa del genere non era nel programma della sua giornata. Gliel’avrebbe fatta pagare in futuro e con gli interessi. “Ho già in mente la persona giusta.” “Chi?” “Tom Elliott.” Meloni lo fissò allocchito dall’altra parte della scrivania. “Elliott? Di tutte le persone?” Danse fece spallucce. “Che ha che non va? Si tratta di un agente molto valido, è bello e va benissimo per fare da figurina nel tuo album dell’inclusività. Certo, non gli manca un arto, ma posso rompergli un braccio, se mi paghi abbastanza.” “Sei un coglione, Nick,” borbottò l’altro, spegnendo la sigaretta nel posacenere e prendendone un’altra. “Comunque la mia perplessità rimane. Non è meglio qualcuno di più… discreto sulle proprie prodezze sessuali?” Non si prese nemmeno la briga di smettere di sorridere. “Ti sei già giocato due carte inclusività, John. Non ti darò di certo la carta famiglia americana con lo steccato bianco da aggiungere. Elliott andrà benissimo. Nessuno lo conosce sull’altra costa e ti assicuro che è qualificato per fare qualsiasi cosa.” Meloni fu costretto a cedere, ma non senza una lunga battaglia interiore combattuta tra un tiro e l’altro della sigaretta. Arrivato al filtro la schiacciò pensieroso nel posacenere e ne accese subito un’altra. “Va bene. Hai ragione, Nick. Immagino tu capisca che anche le buone intenzioni hanno necessità di propaganda per ottenere ciò di cui hanno bisogno. A volte questo implica… mettiamola così, rendere il messaggio più appetibile a tutti.” Nick soffiò il fumo e fece un verso sarcastico. “Oh lo so, cosa credi. Mandiamo un disabile che però sa fare le cose meglio di te, te e te. Sì certo, è inspiration porn, ma intanto abbiamo dimostrato di essere inclusivi. E siccome — gasp — è bisessuale, mandiamolo con qualcuno che potremmo vedere bene in uno spot di Folgers, così i benpensanti non si spettinano. Lo capisco, John. Non mi piace, ma capisco.” Meloni annuì piano. “È una partita a scacchi, Nick, non a rubabandiera. Allora,” disse, spingendo ancora l’invito verso di lui. “Tira fuori il tuo completo migliore e portati chi vuoi. Fateci fare bella figura.” Nick spense la sua sigaretta ormai finita e ad ogni buon conto ne rubò un’altra al capo Meloni. Si ficcò l’invito in tasca con malagrazia e tornò in ufficio, ruminando pensieri infastiditi. Non si poteva dire che Nick Danse fosse un attivista, anzi, spesso e volentieri si dimenticava di controllare il proprio livello di privilegio. Anzi, neanche ci pensava, perché era un uomo con una missione e quella missione, prima che gli saltasse in aria una gamba, era far parte della HRT e salvare ostaggi nell’ambito di pericolose operazioni di estrazione e salvataggio. Non stare dietro a una scrivania con settanta monitor e spiare pensionati del Kentucky che trasformavano la cucina in un laboratorio di metanfetamina amatoriale dopo aver visto sessantadue episodi di Breaking Bad. Ma gli rodeva il culo più di ogni altra cosa quando le sue diversità venivano usate come strumenti. Insomma, era facile ricordarsi di determinate cose soltanto quando servivano a qualcuno. Forse da quella scintilla di egoismo sarebbe potuto nascere un maggiore coinvolgimento in tutti i campi della propria vita, ma d’altra parte Nick Danse aveva lasciato ben altro che un arto nell’incidente che l’aveva cambiato per sempre. Tornò in ufficio bofonchiando. Si era appena seduto quando si rese conto che voleva un caffè. Uno sguardo all’ora lo convinse a scendere in caffetteria — tutto pur di evitare il caffè della macchinetta automatica — e nel tragitto verso l’ascensore si fermò davanti al cubicolo di Tom Elliott. Elliott aveva una trentina d’anni e arrivava dalla Omicidi del NYPD. Servire e proteggere gli scorrevano nel sangue da generazioni: suo padre era stato per decenni capo dei vigili del fuoco e sua madre era tuttora tenente del NYPD. Non solo, parlava parecchie lingue ed era un agente addestrato per missioni sotto copertura. Ma era anche una testa di cazzo che detestava le regole se le riteneva sbagliate e faceva di tutto per non rispettarle. Questo avrebbe dovuto far infuriare Danse — che comunque spesso gli faceva delle enormi lavate di capo — ma allo stesso tempo lo divertiva segretamente, perché significava che Elliott non era solo il bravo soldatino, il figlio del sistema, no. Nel bene e nel male era un essere pensante e autonomo. Poi c’era la piccola questione della sua reputazione. Elliott era ben noto in tutto l’edificio e probabilmente anche nel grattacielo dell’IRS accanto a loro in Federal Plaza per le proprie avventure indiscrete di ogni genere, numero e caso. “Elliott, dimmi cosa stai combinando,” disse Danse. Non si era annunciato, quindi la sua voce suonò come uno sparo ed Elliott fece un salto di mezzo metro sulla sedia. “Capo! Ho perso dieci anni di vita! Sto sul caso Johnson, ricordi? Venti chili di diserbante comprati da un becchino.” Danse abbozzò un sorriso millimetrico. “Magari ha il cimitero pieno di erbacce. Andiamo a bere un caffè, ho da parlarti.” Elliott sbatté le palpebre, forse perplesso di fronte al tentativo di battuta da parte di Danse. “Capo, se mi devi staccare la testa a morsi possiamo farlo qua? Mi sto lavorando Jenny della mensa, mi dà delle porzioni extra. Non vorrei perdere terreno, sai.” Danse alzò un sopracciglio. “In piedi, Elliott, e ringrazia che non ti faccio scendere in caffetteria prendendoti a calci in culo. Con la gamba in fibra di carbonio.” Lo vide trattenere a stento l’impulso di roteare gli occhi al soffitto mentre si limitava ad alzarsi dalla sedia. “Non possiamo parlare nel tuo ufficio?” Danse fece spallucce. “Certo, ma preferisco farlo davanti a un caffè caldo decente e una fetta di torta. Dopo di te.” Tom non se lo fece dire due volte. Recuperò la giacca dalla sedia, il cellulare e un attimo dopo gli camminava davanti verso l’ascensore. Lo sguardo di Nick cadde invariabilmente sul culo del suo agente preferito e sogghignò fra sé. Elliott non solo sarebbe stato perfetto per quella storia di merda, ma sarebbe stato anche un gran bel vedere. Danse non era cieco alla bellezza, dopotutto. Gli mancava mezza gamba, non i bulbi oculari, e negare che Elliott fosse un uomo bellissimo sarebbe stato sbagliato. Si fecero tutti i piani dal loro a quello della caffetteria in silenzio, circondati in ascensore da uno stormo di giacche e cravatte che andavano e venivano dai vari dipartimenti. Dieci minuti più tardi erano seduti a un tavolino appartato, con davanti un caffè fumante per entrambi e un dolce per indorare la pillola. “So che ti sembrerà una domanda un po’ strana,” iniziò Nick, senza stare troppo a pensarci. “Ma… ti trovi avverso all’idea di uscire con me una di queste sere?” La forchettina di Tom cadde sul piattino di ceramica e altrettanto fece la sua mascella. “Come, scusa?” “Hai sentito benissimo.” “Oh. Ecco… io…” Il giovane agente deglutì, nervoso, e Nick si prese un paio di istanti per studiarlo meglio. Anche se in quel momento sembrava più un pesce fuori dalla boccia, il divertimento che gli causava vedere quel bel ragazzo agitarsi a causa sua era una inesauribile carica di vita. Infine Tom si riprese con un colpo di tosse. “Ecco… non sono affatto avverso all’idea. E prima che dica qualcosa di molto sconveniente, puoi spiegarmi meglio?” Ah, peccato. Non ci era del tutto cascato. Danse si sistemò meglio contro lo schienale e si ficcò in bocca un pezzo di Red Velvet. “Spero tu abbia uno smoking. Ci facciamo un giretto a spese di Meloni per andare al gala dell’FBI a Washington DC.” “Mi prendi per il culo,” sbottò Elliott, sgranando gli occhi in maniera quasi comica. “Non c’è assolutamente modo che tu possa essere serio.” “Mai stato più serio in vita mia, purtroppo. Ma te lo dico subito, Meloni ci usa come carta inclusività per l’evento. Sono uno storpio a cui piace anche il cazzo e tu… beh. Se le voci sulle tue escapades sono vere, piace il cazzo anche a te.” Tom lo fissava sconvolto. “Davvero vuole usarci come token LGBT e disabile?” “Una combo letale.” Danse gli rivolse un sorrisetto che ebbe il piacevole effetto collaterale di fare tremare un po’ l’altro. “Mi ha chiesto di portare qualcuno di adatto. Tu sei adatto.” “Se mi hai scelto solo per il mio orientamento allora io non credo che…” Nick alzò una mano per fermare la tempesta di indignate e del tutto legittime esternazioni che stava per arrivare. “Ti ho scelto perché sei un bravo agente. Il tuo orientamento è solo un bonus… per me.” “…per te?” Beh, era il momento di mettere le carte in tavola, tanto che aveva da perdere? “Elliott, ti sei scopato chiunque in questo edificio e anche in quello di fianco, tutti tranne me. O mi trovi particolarmente brutto o…” La faccia di Tom assunse una gradevole sfumatura rossastra. Era carino così, Nick sperava tantissimo che non lo trovasse un vecchio orribile e storpio, altrimenti nonostante tutta quella sceneggiata ci avrebbe fatto una figura di merda epocale. “Non ti trovo affatto brutto,” rispose l’altro, tornando finalmente a respirare. “Solo che…” “Solo che?” “Non pensavo potessi essere interessato. A me, dico.” Cielo, come poteva pensare quella roba? Ma si guardava allo specchio? Certo, Tom Elliott aveva una certa reputazione presso il gentil sesso e anche quello meno gentile, ma aveva fascino, era bellissimo e… “Sei anche modesto, vedo.” Tom si strinse nelle spalle. “Forse non ti rendi conto, ma eri già un mito quando io ero a Quantico. Ci sono 30 persone nell’HRT, il tuo nome veniva fatto spesso. Ogni volta che un’operazione veniva portata a termine ci veniva proposta come materia di studio.” Danse ridacchiò. “Avevi il mio poster nella cameretta, Elliott? Sono lusingato.” “Non lo scoprirai mai. Ma il motivo per cui non mi sono mai avvicinato a te non è quello che pensi.” “Sentiamo, allora.” Tom si guardò intorno. “Sicuro che vuoi parlarne qua? Dobbiamo partire insieme, no?” Danse incrociò le grosse braccia al petto. “Sì, ed è meglio che finiamo questa discussione prima di partire. Così qualsiasi cosa succeda non influirà sul lavoro.” Tom spinse via il piatto con il dolce e si pulì la bocca con un fazzolettino di carta. “Non ti ho girato intorno perché sei vecchio o per via della gamba. Ma sei il mio capo e prima ancora di quello sei una persona che ammiro da anni. Meriti più del Protocollo Elliott ‘una botta e via’.” Un angolo della bocca di Danse si arricciò in un sorrisetto storto e un po’ sarcastico. “Addirittura, merito più di una botta e via. Interessante. Bene. Allora prevedo che il nostro viaggio sarà… istruttivo.” Elliott prese ancora più colore in viso, poi squadrò le spalle e rialzò la testa con aria risoluta. “Allora che ne dici, capo, se usciamo stasera?” Danse sollevò anche l’altro angolo della bocca in un sorriso che un tempo era in grado di disintegrare spontaneamente le mutande del destinatario. Evidentemente funzionava ancora — Elliott si morse il labbro e i suoi occhi scuri si fecero più languidi. “Non perdi tempo. Mi piace. Voglio vedere dove mi porti. Vieni a prendermi alle sette.” * Elliott arrivò alle sette in punto. Nick si era fatto una doccia, si era sbarbato di nuovo e si era concesso il lusso di un paio di jeans con una t-shirt e una giacca di pelle. Era una buona giornata, nonostante fosse stato molto tempo in piedi la gamba non gli stava dando troppa noia. Si era limitato a lavarsi bene, asciugarsi meglio e cospargersi di crema protettiva prima di rimettersi la protesi. La odiava con tutto se stesso, così come odiava l’incidente che gli aveva portato via la gamba e il fatto di non essere saltato in aria al 100%. Quella sera però, guardandosi allo specchio con aria critica, decise che poteva permettersi di avere una serata divertente. Non usciva con nessuno da quando aveva perso la gamba, ed Elliott aveva il pregio di essere a conoscenza del suo problema e notoriamente di bocca buona. Forse non se ne sarebbe andato schifato sul più bello. Tom era alla guida di una Ford Bronco e vestito pressappoco come Danse, anche se i suoi jeans erano neri e la sua t-shirt era rossa e si addiceva molto alla sua carnagione. “Ho pensato che a uno come te piacciono i posti dove si mangia sul serio. C’è un locale che fa delle costate da urlo. Bistecche alte così,” disse, facendo cenno con le dita. “E torta di mele della nonna, se resta spazio per il dessert.” Nick alzò un sopracciglio e si arrischiò ad allungare una grossa mano e strizzargli un ginocchio. Elliott ricambiò lo sguardo senza sottrarsi. “Ho un mente un altro dessert.” L’altro sussultò appena e strinse le dita sul volante quasi a volerlo stritolare. “Spero che sia lo stesso che ho in mente io, allora.” Si immisero in strada e Nick si guardò intorno. “Bella macchina. Non ti facevo un tipo da grossi SUV.” “È un bel trattore e mi piace stare comodo,” rispose Tom, con un mezzo sorriso. “I sedili dietro si buttano giù che è una meraviglia.” Il pensiero di Elliott che scopava qualche ragazza nei sedili posteriori riuscì allo stesso tempo a infastidirlo ed eccitarlo. “Non lo metto in dubbio. Ne avevo uno simile, una volta.” Tom annuì, poi girò per svoltare su una strada diretto alla costa. “E poi ti sei comprato quella Mustang rossa da urlo. Ci ho sbavato sopra per mesi quando l’ho vista nel parcheggio. Quando ho scoperto che era tua…” “Non te l’aspettavi?” “Non ti facevo un tipo da Mustang.” Danse sbuffò dal naso, divertito. A quanto pareva non era un tipo per certe cose per davvero un sacco di gente. “Mi piace il fascino selvaggio delle cose.” “Oh, lo vedo,” mormorò l’altro agente, gettandogli un’occhiata in tralice. Parcheggiarono fuori da un locale dall’aria ordinaria, sembrava un vecchio diner anni ‘50 che aveva visto tempi migliori. Ma Nick sapeva quando era meglio non giudicare un libro dalla copertina — la gente tendeva a fare lo stesso con lui — e seguì Tom all’interno, pronto per quello che la cucina aveva in serbo per loro. Eccellenza, ecco cosa aveva in serbo. “Potrei senza ombra di dubbio dire che è la bistecca migliore che abbia mai mangiato,” disse Nick, dopo che ebbero cenato in santa pace, come due persone normali e non come un capo e il suo sottoposto. “Mi piacciono i tuoi gusti in fatto di cucina, Tom.” L’altro sorrise, riguadagnando un po’ di baldanza con la pancia piena. Mise i gomiti sul tavolo e si sporse verso di lui, schioccando la lingua. “Ho gusti semplici, capo. Ma efficaci.” “Bene, allora iniziamo con il non chiamarmi capo mentre sappiamo benissimo che siamo qui per entrarci nei pantaloni a vicenda.” Tom sussultò per un attimo, preso in contropiede, ma si riprese abbastanza in fretta. Un largo sorriso sornione si dipinse sul suo volto. “Ma a me piace chiamarti capo. E non sto cercando di entrarti nelle mutande. Non ancora.” Danse ricambiò il sorriso. Conosceva molto bene quel gioco, sapeva come condurlo. “Ah, avrei pensato il contrario. Quindi vuoi mandarmi a casa senza dessert?” Tom si mordicchiò il labbro. Non c’era nulla di imbarazzato in quel gesto. Era perfettamente calcolato e ben diverso dall’imbarazzo genuino di quando avevano parlato in mensa. “Non è quello che ho detto. Ho detto solo che non sto cercando di entrarti nelle mutande. Non ancora.” “Mh,” disse Nick, buttando giù il bicchierino della staffa di liquore fatto in casa portato loro dalla padrona del locale. “Ho capito, vuoi giocare un po’ al gatto e al topo, eh? Ricordati che so benissimo come vincere un assedio, Elliott.” “Oh, lo so, ma non abbiamo mica stabilito chi sia il gatto e chi il topo,” ribatté l’altro, malizioso. “E il mio piano questa sera non è di portarti a letto, anche se non credo che faticherei a convincerti. Il mio piano è di lasciarti con la voglia di farlo il prima possibile.” Danse inclinò la testa. Elliott lo incuriosiva e gli piaceva provare quel tipo di curiosità, non si sentiva così interessato a qualcun altro da molto, molto tempo. Se anche fosse stata soltanto una botta e via sarebbe stato già soddisfacente, ma Elliott sembrava aver intenzione di prolungare la cosa al di là di un singolo incontro. Interessante. “E come conti di farlo, sentiamo.” “Beh, per prima cosa ti accompagnerò a casa,” disse Tom. Aveva allungato una mano attraverso il tavolo e stava sfiorando le dita di Danse senza afferrarle o stringerle. Solo un tocco molto lieve, quasi impercettibile. “Ti saluterò e farò per andar via, ma all’ultimo tornerò indietro e ti bacerò.” Danse ridacchiò. “Attento, prendi di sorpresa un agente dell’HRT e ti becchi una gomitata nello stomaco.” Tom fece una smorfia. “Ma non ti prenderò di sorpresa, perché tu te lo starai aspettando e ne approfitterai per mettermi quelle grosse manacce addosso. Al punto che non vorrò più andarmene.” “Se ti metto le mani addosso no che non te ne andrai, Elliott. Fidati.” “Ed è per questo che ce le terrai ben poco. Probabilmente finirò in ginocchio col tuo cazzo in gola,” disse l’impunito, con aria quasi sognante. “E a cose fatte me ne andrò traballando e guiderò come un pazzo fino a casa prima di infilarmi una mano nei pantaloni e menarmelo come se non ci fosse un domani.” “È tutto molto complicato anche solo a livello teorico, non è più semplice una onesta scopata?” Elliott fece cenno di no. “Sì, ma no. Uno, perché qualcosa mi dice che non hai una pistola in tasca, capo, ho bisogno di prepararmi psicologicamente all’idea di conoscere… il braccio della legge. Due, mi piacerebbe che fosse più di una botta e via.” “Continuo a pensare che potresti conoscerlo tranquillamente a casa mia stasera,” insistette Danse, molto deciso e interessato a proseguire in quella direzione, ma Tom si limitò a scoccargli un sorrisetto malizioso. “No. Mi piace l’idea di farlo dopo la tua serata di gala.” Nick sollevò gli occhi al soffitto. “Non è la mia serata.” “Allora fai il bravo e lo diventerà.” * Alla fine Tom si limitò a dargli un pudico bacio sull’angolo della bocca e allontanarsi all’indietro sorridendo, il bastardo. Nick si era però eccitato e quella era una cosa strana. Difficilmente aveva relazioni e di solito quando voleva qualcosa la otteneva. Non era un uomo da sofisticate tecniche di seduzione, ma Elliott… beh, lui sapeva bene le regole di quel gioco e lui si era ritrovato a esserne intrigato. I tre giorni successivi in ufficio furono un’agonia lenta e dolorosa. Tom non voleva saperne di uscire ancora perché deciso ad attuare il suo piano e Nick aveva preso a osservarlo sotto l’ottica di qualcuno che vuoi scoparti a ogni costo. Sì, perché peggio di lavorare con Tom, c’era solo vederlo flirtare a ruota e cazzo, era bravo il bastardo. Il giorno prima della partenza Nick era riuscito a spingerlo dentro uno dei cessi del loro piano, chiudersi la porta alle spalle e baciarlo fino a levargli il fiato… e poi l’aveva lasciato lì, ansimante e con la bocca rossa e aperta. * “Due stanze?” commentò Elliott, mentre si avviavano verso l’ascensore che li avrebbe portati ai piani superiori del loro albergo a DC. “Ne bastava una.” Nick scosse la testa e sogghignò. Era d’accordo con lui, ma quel gioco al gatto e al topo stava diventando interessante. “Pensa piuttosto a prepararti per dopo.” L’altro agente entrò nell’ascensore e premette il pulsante. “Sono il re dello smoking, capo.” Si rivelò davvero esserlo. Quasi gli caddero gli occhi dalle orbite quando se lo ritrovò nella hall dell’albergo, con uno smoking elegante che lo fasciava alla perfezione ed enfatizzava le spalle larghe e la vita stretta. Aveva i capelli neri e lucidi ben pettinati con una riga laterale e la perenne barba di un paio di giorni che gli dava quella faccia da sexy bastardo impenitente che faceva girare la testa a tutti. E anche a lui, apparentemente. Tom Elliott era splendido e se non fosse riuscito a portarselo a letto quella sera, Nick si sarebbe percosso da solo con la propria gamba sintetica. Quando i loro sguardi si incrociarono, però, la bocca di Elliott si spalancò per la sorpresa e un vago rossore gli dipinse le guance. Nick gli rivolse uno dei suoi microscopici sorrisi malefici e vide l’altro quasi barcollare. Sapeva che valeva la pena spendere quei soldi per un completo su misura, dannazione. “Sei… wow,” disse molto poco intelligentemente Tom, deglutendo a vuoto. “Ti sta davvero bene.” “Anche tu non sei male.” Gli si avvicinò per sussurrargli all’orecchio, ghignando come lo stronzo che sapeva di essere. “Ma scommetto che senza sei meglio.” Tom ammiccò. “Chi lo sa, forse avrai il privilegio di scoprirlo,” disse, sornione. La cerimonia fu uguale a mille altre a cui aveva partecipato e neanche l’idea di essere lì come contentino alle minoranze riuscì a distrarre Danse dalla vista di Elliott in smoking. Alto e con un fisico perfetto, l’agente aveva un sorriso bianco affascinante e riusciva a stregare tutti con lo sguardo dei suoi languidi occhi scuri. Era anche un cretino indisciplinato sul lavoro, ma a vederlo in azione così Nick ricordava molto bene perché lo considerasse uno dei suoi migliori agenti. Le sue infrazioni erano sempre poca cosa in confronto al suo savoir faire sul campo. Lo vide chiacchierare amabilmente con un gruppo di anziane benefattrici tutte ingioiellate. Le signore avevano chiaramente superato il millennio abbondante ma erano emozionate come ragazzine, tutte piccole risate trillanti e gesti vezzosi. Tempo di recuperare due flute di champagne e Danse lo ritrovò a parlare con un gruppo di giovanissimi cadetti di Quantico. Erano poco più che maggiorenni, con facce pulite e terribilmente serie. Qualcuno era nervoso, altri sfoggiavano una sfrontatezza che sarebbe andata in pezzi alla vista del primo sangue. Erano gli agenti del futuro e l’atteggiamento di Elliott nei loro confronti era completamente diverso rispetto a quello tenuto con le signore di prima. La sua postura era rilassata ma inequivocabilmente dominante. Parlava loro con tono amichevole ma anche da lontano Nick riusciva a vedere come quei ragazzi e ragazze fossero affascinati dalla sua competenza. Lo raggiunse prima che potesse essere catturato da un altro gruppo e gli porse un flute di champagne. “Sai come lavorarti un pubblico, eh?” Elliott ammiccò mentre si bagnava le labbra con le bollicine. “Tutta quella fama di cui HR si lamenta sempre servirà pure a qualcosa. Anche se adesso non faccio altro che spiare la gente, ho passato un sacco di tempo sotto copertura, sai. Ho fatto tanti di quegli addestramenti di social engineering che è anche divertente mettere di nuovo in atto qualche trucchetto.” Nick gli si avvicinò abbastanza da fargli sentire il proprio calore corporeo ed entrare nel suo spazio personale. Era fin troppo vicino per un’occasione pubblica, ma la sala era gremita e un cameriere carico di minuscoli canapè passò dietro di lui proprio in quel momento, dandogli l’occasione per fare un passo avanti. “Interessante, Elliott. Chissà cosa nascondi sotto tutti questi strani e quella tua facciata di simpatico menefreghismo, eh?” Elliott alzò un sopracciglio ma non arretrò. “Lo scoprirai. Con la dovuta pazienza. Guarda, la vedova Connelly ti cerca. Suo marito era alla Nasa, hanno lavorato alla tua gamba di riserva. Fammi vedere cosa sai fare col tuo fascino. E ricordati,” ammiccò lo stronzetto, “che ti terrò d’occhio.” “Oh, anche io,” rispose Nick, troppo vicino al suo orecchio per essere casuale. Lasciò che le labbra sfiorassero il lobo di Tom e si godette il piccolo brivido che lo percorse. “Oppure, puoi evitarmi i convenevoli con questa vedova e venire con me.” “Con te dove?” deglutì l’altro. Danse gli posò una mano sulla parte bassa della schiena, appena sopra il culo tondo e perfetto. Lo spinse con delicatezza, veleggiando tranquillo tra i vari invitati della festa, che li guardavano come attirati dalla loro presenza. Un minuscolo senso di orgoglio percorse Nick. Con la gamba coperta e con una bellezza come Tom Elliott al fianco, riuscì a sentirsi se non bello, almeno affascinante. Sapeva benissimo che effetto facevano insieme, lui grande e grosso di fianco a un agente snello e agile che sembrava uscito dalla copertina di qualche rivista. Meloni avrebbe dovuto dare un aumento a entrambi solo per la bella figura che stavano facendo fare alla loro sezione. Ma Nick non aveva più voglia di fare la bella statuina da un bel pezzo. Spinse Tom fuori dal salone principale, in direzione di un bagno ben lontano da quello vicino all’ingresso. Non c’era nessuno quando entrarono, era deserto e pulito, l’ideale per quello che aveva in mente. Non si fece remore a spingere l’altro contro la porta e chiuderla con la chiave inserita nella toppa. Dentro di sé scosse la testa. Quale idiota lasciava la chiave del bagno principale disponibile al pubblico? Poco importava. “Vuoi davvero scoparmi la prima volta in un cesso di una sala conferenze?” lo prese in giro Tom, prima di afferrarlo per la cravatta e tirarlo a sé, in un cozzare di bocche e lingue fameliche. “Nota a margine: non mi sto lamentando,” aggiunse, dopo essersi staccato per respirare. Nick ringhiò quasi, strinse le mani intorno alla vita di Tom e gli piantò un ginocchio in mezzo alle gambe, lasciando che l’agente strusciasse il suo cazzo ancora rinchiuso nel completo contro la sua coscia. “Tecnicamente non siamo dentro il cesso, ma appena fuori. Però sono stufo di dover tenere le mani per me.” Tom si limitò a mugolare quando Nick gli strappò un altro bacio e prese a slacciargli in fretta i bottoni dei pantaloni. “Oh cazzo…” “Ti piace?” “Cazzo sì,” ansimò Elliott. “Meno male che sono venuto preparato.” Spinse indietro Danse quel tanto da avere spazio per infilare le dita nella tasca interna della giacca e ne tirò fuori un preservativo e una bustina di lubrificante. A Nick venne voglia di ridere. “Ci speravi?” “Diciamo che non mi aspettavo di riuscire a tornare in albergo. Sei dannatamente sexy vestito elegante, capo.” Nick gli morse la bocca, gli afferrò la mascella per forzare il bacio nella direzione da lui preferita e continuò a divorarlo. Elliott aveva tutta la ragione del mondo e avrebbe dovuto saperlo anche lui: non sarebbero mai arrivati in camera. A giudicare dal modo in cui Elliott gli si premeva contro, Nick non aveva niente da preoccuparsi: sarebbe stato solo il primo di molti round, appena sufficiente a smorzare il desiderio per farli uscire dal galà senza farsi beccare. “Muoviti,” mugolò Elliott. “Non avremo tutto il tempo del mondo.” Nick ridacchiò. “Guarda che non sono un peso piuma. Ci vuole un po’ di incoscienza ad affrontarmi senza preparazione.” Non era un’esagerazione. D’altra parte Nick Danse era un gigante e Madre Natura l’aveva benedetto con membra proporzionate. Tutte le membra. Tom gli schiaffò in mano il condom e gli riservò un’occhiataccia. “Spero ti stia. Ora muoviti, capo, ho programmi per questa notte.” Nick si permise una risata di cuore. Con una manata fece voltare Elliott e lo spinse contro la parete, aprendogli le gambe con un ginocchio. “Il mio miglior agente con le braghe calate in un cesso di lusso, dico io.” Elliott lo fissò da sopra la spalla, poi si spinse contro di lui, strusciando quel culo sodo e perfetto contro il suo cazzo speranzoso. Cristo, era divertente provocare e farlo aspettare, ma c’era un momento per parlare e uno per passare all’azione. Si aprì la zip con un sospiro di sollievo, anche se la pressione dei boxer aderenti era comunque troppa, e con pochi gesti si infilò il condom. Preparare Elliott era un’altra faccenda. “Aiutami,” gli ringhiò da sopra la spalla. Entrambi presero un po’ di lubrificante e di lì a poco il culo perfetto dell’agente venne aggredito dalle dita di entrambi, mentre Elliot mormorava imprecazioni e cercava di premersi contro quell’intrusione. “Giuro che basta, capo, se non me lo dai giuro che-” “- non accetto questa motivazione per non presentarti al lavoro domani, Elliott. Se ti rompo il culo dovrai venire lo stesso a lavorare.” “Tu pensa a farmi venire adesso, poi mi puoi regalare una ciambella gonfiabile.” Nick ridacchiò ancora e finalmente sfilò le dita. Cinse la vita di Elliott con un braccio e con l’altra mano iniziò a guidarsi dentro il calore incredibile dell’altro. Nonostante il lubrificante era assai stretto e lo sentì tendersi e irrigidirsi intorno a sé. “Oh cazzo,” ansimò Tom, con un guaito. “Oh cazzo cazzo cazzo…” Nick si obbligò a non sbatterglielo dentro tutto di colpo come il suo istinto gli suggeriva di fare e invece strinse i denti. “Te lo avevo detto.” La sua attenzione fu distolta dalla fila di marmo dei lavandini lungo la parete di fianco a loro. Forse, se avesse invitato Tom a poggiare i gomiti lì avrebbero avuto una posizione più agevole. Senza pensarci troppo si ritirò da lui e lo manovrò sul lavandino, facendogli tirare su il culo. E, nota di diletto personale, davanti a loro c’era pure un enorme specchio. Tom gemette ancora quando Danse gli si spinse dentro di nuovo, con un po’ più di facilità e, un centimetro alla volta, riuscì a entrare in quel corpo meraviglioso. “Stai bene?” gli chiese Nick, osservando la faccia stravolta del suo agente preferito nello specchio. “Troppo?” Il volto di Tom si trasformò in una smorfia. “Prova a toglierti e te la faccio vedere io.” Con una risatina, Nick decise che stava bene, tutto sommato. Iniziò a scoparlo, lentamente, osservando ogni minuscolo cambio di espressione sul volto dell’altro. Certo, non era facile, lo sapeva bene. Ma bastava trovare il punto giusto e… “Cristo!” Tom cercò in ogni modo di aggrapparsi al marmo lucido che non offriva molti appigli alle sue dita, ma da quanto poteva vedere nello specchio, la sua bocca era spalancata per lo stupore e il resto della sua espressione era puro godimento. “Cazzo, dammene ancora.” E chi era lui per dire di no? Da quel momento in poi, Tom rispose alle sue spinte spingendo il culo all’indietro, aprendosi ancora di più, accogliendolo con tutto l’entusiasmo e il fiume di parole sporche che si aspettava di vedere dalla prima volta che aveva fantasticato di scoparselo in ufficio. Gli artigliò i fianchi con le grosse mani, sperando non troppo segretamente che il giorno dopo gli sarebbero rimasti i segni in ricordo di quello che avevano fatto. “Lo prendi così bene,” gli mormorò all’orecchio, chinandosi su di lui. Gli infilò le dita tra i capelli e gli tirò la testa all’indietro, per obbligarlo a guardarsi insieme nello specchio. “Sei proprio come avevo immaginato.” Tom sorrise e ridacchiò pure, il bastardo. Socchiuse gli occhi e lo inchiodò con lo sguardo nello specchio. “Oh, lo so.” “Modesto anche,” ringhiò Danse. Gli assestò una pacca sul culo con la mano libera e continuò a spingersi nel suo calore quasi insopportabile. Era stretto e caldo e la leggendaria stamina di Danse — che era rimasta ragguardevole anche dopo aver perso la gamba, se gli riusciva di entrare nell’umore — rischiava di cedere non per stanchezza ma perché quell’infame del suo agente preferito continuava a spingersi indietro contro di lui e mormorava cose incomprensibili con la faccia schiacciata contro la ceramica. Non fece neanche in tempo a toccarlo. Bastò un altro schiaffone e un’ultima spinta e Tom si irrigidì contro di lui, con un gemito mezzo bloccato in gola. Meno male, o Nick avrebbe dovuto chiudergli la bocca e sperare che nessuno sentisse. Gli strinse un braccio intorno alla vita e si piegò su di lui, spingendosi dentro con disperazione, aizzato dai piccoli lamenti di Tom sotto di lui. Cristo, quanto tempo era che non scopava in piedi? Per fortuna la sua gamba decise di non cedere sul più bello, mentre cercava di non dissolversi nel piacere accecante del corpo di Tom. “Oh, cazzo,” balbettò Tom, senza fiato. Nick non alzò neanche lo sguardo. Era ancora infilato dentro di lui, ancora in preda agli ultimi spasmi dell’orgasmo e se avesse guardato la sua faccia sconvolta sarebbe esploso nel tentativo di rizzarlo di nuovo e dargliene un’altra dose. Ma, ahimé, non aveva più vent’anni. Niente male per un agente veterano con una gamba sola, però, pensò con una scintilla della sua vecchia baldanza. “Tirati su, Elliott,” disse dopo qualche minuto. Per gradire gli tirò un colpo all’altra natica, godendosi il suo sobbalzo. “La fai facile,” borbottò Elliott. “Non sei tu quello col culo trapanato fino al centro della terra.” Danse ridacchiò e l’aiutò a tirarsi su. Si godette persino un lungo bacio affamato e disordinato. Non c’era modo di tornare alla festa senza farsi sgamare o almeno senza far alzare più di un sopracciglio perplesso. “Riesci ancora a venire senza una mano alla tua età?” gli chiese, cercando disperatamente di dare una sistemata ai propri abiti. “Sono impressionato.” In tutta risposta, Tom si sollevò i calzoni con una piccola smorfia che però non faceva nulla per nascondere il suo sorrisetto. Si sistemò la camicia, ormai un coacervo di pieghe e sudore, e gli strizzò l’occhio. “Capo, non sottovalutare mai la mia libido. Lo desideravo da così tanto che probabilmente sarei venuto anche solo a guardarti nella sala di prima.” Il complimento scaldò il cuore di Nick — e anche qualcos’altro — perché Tom era così sincero e cristallino nel suo desiderio da renderlo quasi irreale. Era una sensazione gradevole, confortante e… beh, terribilmente eccitante. Tirò Tom a sé per un ultimo, straziante bacio e gli mordicchiò la mascella. “Porta il culo in macchina, Agente Elliott. Sarà un vero piacere per me levarti questi begli abiti eleganti una volta a casa.” FINE
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"Passione pirata" è un racconto NSFW (erotico) breve e gratuito scritto da Daniela Barisone per il p0rnfest 2019 e dedicato all'Agenzia. Da che era un fiulet, Daniele aveva sempre avuto una passione spasmodica per i pirati. Non sapeva esattamente cosa gli piaceva di loro: forse l’aria scanzonata e i modi esagerati, il loro essere anarchici, la benda sull’occhio… non ne era certo, ma da quando aveva visto “Pirati dei Caraibi” da bambino e aveva detto a suo padre di voler essere lui la fanciulla da salvare, aveva sviluppato una certa propensione per il genere. Film o libri, narrativa o non fiction, andava bene tutto. Da Capitan Harlock al Pianeta del Tesoro, per passare a Black Sails a Master and Commander o ad Assassin’s Creed Blackflag. Se c’era una nave, c’era un pirata e lui sapeva tutto sull’argomento.
Per cui era stato facile farsi attirare dalla stramaledetta benda sull’occhio di Alessandro. All’inizio aveva provato a resistere, sul serio. Lo prendeva in giro, lo chiamava “Capitan Harlock dei poveri”, ma la realtà era che quel maledetto bastardo riusciva a essere sexy come il peccato anche senza un occhio. La benda però Ale non se l’era mai tolta davanti a lui, non volontariamente e andava bene così. Non che lo avesse mai visto senza, dopotutto. Quando dormivano insieme, il continuo rigirarsi la faceva spostare e più di una volta Daniele era rimasto nella penombra a fissare quell’orbita nera e vuota della quale l’altro voleva impedirgli la vista. Era brutta? Certo, era orribile. Non servivano due occhi sani per capirlo. Gli faceva amare di meno Alessandro? Proprio no. Era parte di lui, come le sue spalle larghe, la pancetta accennata e il sorriso da stronzo patentato. Gli dava un’aria piratesca e insomma, a lui i pirati facevano un certo effetto. Soprattutto quando quel maledetto usciva dalla doccia del loro appartamento, con solo l’asciugamano legato alla vita e i capelli bagnati che gli ricadevano davanti alla fronte. Daniele trattenne il fiato a quella vista. Un anno che stavano insieme e aveva le scalmane come il primo giorno. Alessandro Russo era grande, grosso, solido. Tutta la parte sinistra superiore del suo corpo era segnato dall’incontro con la Cassetta della Posta che gli aveva strappato l’occhio, ma con i capelli bagnati, la benda nera a coprire l’occhio e la cicatrice che c’era sotto, a Daniele ricordava un pirata reduce da qualche battaglia. E lui era debole, debolissimo. “Che hai da guardare?” gli chiese Russo, avvicinandosi al divano e lasciandovisi cadere sopra con un tonfo. Era ancora leggermente umido e profumava di bagnoschiuma al limone, il suo preferito. “Ti, sembra che ta mai vist biotto.” Ale non parlava spesso in dialetto quando erano insieme, ma quando era stanco dopo il lavoro capitava che qualcosa gli scappasse e lo faceva sorridere. “Per mia fortuna invece ti ho visto nudo un sacco di volte.” L’altro inclinò la testa di lato e si leccò le labbra, un accenno di sorriso a curvargli le labbra. “Dime, a cosa pensi?” “Pensavo di guardare Black Sails a cena. Che ne dici?” “Dico che è la terza volta che lo guardiamo, per cui no. Stasera guardiamo qualsiasi altra cosa che non siano pirati” gli rispose Alessandro, sempre con lo stesso lento sorriso. Lo stava facendo apposta. “Questa tua passione ti sta sfuggendo di mano.” “Dici?” Daniele non voleva lasciare il suo bozzolo di coperte di pile in cui si era avvolto nel momento in cui si era infilato il pigiama, ma le tirò di lato e scivolò in ginocchio tra le gambe forti e solide del compagno. Cercò il lembo che gli teneva su l’asciugamano e lo fece scivolare via, scoprendolo. “Eppure ne sto per sposare uno.” Alessandro socchiuse l’occhio sano e gli passò le dita tra i capelli neri, mentre il suo cazzo iniziava a dimostrare un certo interesse nella questione. “Cos’è, vuoi che ti dica yarrrrhh sull’altare?” “Nah. Mi basta la mia fantasia, se è per quello. Ormai ti ho immaginato in ogni situazione.” Senza perdere tempo, Daniele gli prese l’erezione tra le mani e ne leccò la punta. Scrutava Alessandro da sotto le ciglia e aveva imparato a riconoscere il desiderio puro e semplice che lo animava quando stavano insieme. Ale non aveva che fantasie vanilla, ma la sua passione era bruciante e persistente. Gli dava tutto quello che aveva e nemmeno l’abitudine poteva molto di fronte a un uomo di cento chili per un metro e novanta armato di cattive intenzioni e del desiderio di fotterti fino a non farti più camminare. Quella passione cruda per Daniele era linfa vitale e, nella sua testa, un ulteriore tassello nella sua passione piratesca. A seconda del momento Alessandro poteva essere qualsiasi cosa nella sua mente: il feroce capitano di una nave che gli faceva conoscere sensazioni mai provate. Il pirata buono che lo faceva impazzire di carezze. Qualsiasi cosa, non importava, la sua fantasia galoppava e in quel momento, con il cazzo di Ale dritto in gola e le sue dita che lo forzavano giù erano sufficienti per scatenargli qualche idea a tema marinaresco. Non perdeva contatto con la realtà, ma gli piaceva. Era innocente, era divertente, era sexy da morire e non c’era nulla che gli piacesse di più che avere Ale protagonista dei suoi film mentali. “Sto venendo, cazzocazzocazzo…” Alessandro fece per scostarlo, ma Daniele rimase ben saldo lì, in ginocchio, con la punta dell’uccello dell’altro in fondo alla gola a prendere tutto quello che riusciva. Perché la scarica elettrica che attraversava il corpo di Ale nell’orgasmo era qualcosa che amava tantissimo, più dei suoi amati pirati. Ale si riprese quel tanto da tirarselo su di peso sulle ginocchia, tirargli giù i calzoni del pigiama di Batman che indossava e masturbarlo con una forza, una ferocia che Daniele adorava. Gli piaceva essere più piccolo, più maneggevole e maellabile nelle braccia del compagno. Adorava essere stretto nell’abbraccio forte e sicuro di Ale, uno di quello che non lo avrebbe mai lasciato andare per tutto l’oro del mondo. L’abbraccio di chi aveva letteralmente attraversato un Mondo o due per amore. “Yarrrhhhh” gli ridacchiò all’orecchio Ale dopo che Daniele raggiunse il piacere e si accasciò in un accrocchio di membra scoordinate di braccia e gambe, troppo stanco per fare altro se non abbioccarsi lì, sul corpo del compagno. “Mi hai fatto sudare di nuovo, mi devo lavare ancora adesso.” Daniele si stiracchiò come un gatto e si allungò quel tanto da baciargli la guancia, appena sotto la benda. “Come se ti dispiacesse. Forza, Capitan Harlock dei poveri. Andiamo a sistemarci e fare una cena decente, che muoio di fame.” “Ah, non ero abbastanza come cena?” lo prese in giro il compagno e Daniele emise un gemito. Beh, se l’era meritata. FINE "Ma non era ora di cena?" è un racconto NSFW (erotico) breve e gratuito scritto da Daniela Barisone. Daniele controllò l’orologio che aveva un polso, un vecchio Casio di suo padre, per l’ennesima volta da quando erano tornati a casa. Quella sera toccava a lui preparare la cena, mentre Alessandro si prendeva il suo bel tempo a farsi una lunga doccia calda.
Solo che ci stava mettendo una vita. “Ma non era ora di cena?” borbottò, mentre scolava la pasta e la ributtava nella padella piena di sugo. Roba Star già pronta con della salsiccia, nessuno dei due sarebbe sopravvissuto in natura grazie alle proprie abilità culinarie. Era già un miracolo che sapessero farsi la pasta. Guardò di nuovo l’orologio. Le otto. Con uno sbuffo spense il fuoco sotto la pentola e ci mise il coperchio sopra affinché rimanesse calda. Inutile impiattare, chissà quanto tempo ci avrebbe messo quell’altro. Si sbottonò la camicia e se la sfilò rimanendo in maglietta, appendendola con cura quasi maniacale alla sedia. L’avrebbe appesa in seguito, dopo cena, se solo Alessandro si fosse deciso di degnarlo della sua presenza. Fece per voltarsi e andare a bussargli alla porta del bagno, quando andrò a scontrarsi contro il torace molto ampio e molto nudo del marito. “Vai da qualche parte?” gli domandò Alessandro, con un sorriso lento e malizioso che non mancava mai di eccitarlo. Daniele fece un passo indietro e lo osservò. Suo marito era nudo, tranne che per l’asciugamano legato in vita e anche quello non faceva molto per nascondere quanto fosse ‘spesso e volentieri’. Aveva l’immancabile benda sull’occhio, mentre il ciuffo dei capelli castani gli ricadeva morbido sulla fronte. Ale aveva un po’ di pancetta, che era diminuita sensibilmente dopo aver smesso di mangiare pasta mezzogiorno e sera, quindi il telo gli cingeva i fianchi e tendeva pericolosamente verso il basso, mostrando per bene la V dell’inguine e tagliando la visuale sul più bello. Cazzo. Letteralmente. Deglutì, all’improvviso con la lingua secca. “Stavo venendo a chiamarti. Dobbiamo mangiare.” “Ti piace quello che vedi?” Alessandro ridacchiò, facendo un paio di passi avanti e Daniele si ritrovò a indietreggiare di fronte alla sua imponenza. Quando la sua fuga fu bloccata dal tavolo della cucina, Ale sogghignava. Lo bloccò fra sé e il tavolo dal lato non apparecchiato con le mani sul ripiano e odorava del loro bagnoschiuma al latte e miele. “Perché se ti piace vorrei che mi baciassi.” “Solo baciarti?” Daniele gli accarezzò il petto e si sporse per essere baciato. Cristo, non si sarebbe mai stufato di quello. Baciare Alessandro era un’esperienza totalizzante che gli consumava tutti i sensi. La cena venne ben presto cacciata fuori dalla testa di Daniele nel giro di un istante. Con le mani scese sullo stomaco dell’altro e slacciò l’asciugamano, che scivolò a terra con un fruscio. Poco male. Subito strinse le dita intorno al suo cazzo e, senza sorpresa alcuna, lo trovò già eretto. “Hai una pistola in tasca o sei solo contento di vedermi?” Alessandro trattenne a stento un grugnito di piacere quando Daniele prese ad accarezzarlo. “Sono sempre felice di vederti. La tua sola esistenza me lo fa venire duro.” “Sei sempre così romantico, un vero pirata.” “Preferisci che ti sussurri paroline dolci all’orecchio?” Ale gli sussurrò quella domanda dritta all’orecchio, scatenandogli un brivido di piacere. “O preferisci il caro, vecchio Piratissimo che ti strappa i vestiti di dosso e ti scopa contro questo tavolo?” La testa di Daniele girava per l’eccitazione. Una minuscola remora si fece strada dentro di lui, destinata a morire in breve tempo. “Ma la cena…” “La riscaldiamo” gli rispose l’altro, mettendolo a tacere con l’ennesimo bacio. Si baciarono ancora, disperati. Sembravano non riuscire ad averne abbastanza l’uno dell’altro e Daniele era certo che fosse così, almeno per lui. Tutto di Alessandro Russo premeva i tasti giusti della sua anima. Dalle leggere lentiggini che aveva sul naso e sulle spalle, dalla benda al fisico massiccio, persino la pancetta, tutto di lui lo faceva impazzire di piacere. Per non parlare della sua personalità, la sua cosa preferita in assoluta. Caro, dolce millennial. “Aspetta, aspetta” lo interruppe, scostandosi per prendere fiato. “Non abbiamo il lubrificante!” Alessandro lo fissò con il suo unico occhio sano e bastò quello per far sì che il suo cazzo iniziasse a premere contro la zip dei calzoni. “Ti do un minuto per andare a prenderlo e toglierti i vestiti di dosso. Poi non importa dove tu sia, io ti strapperò gli abiti e mi prenderò quello che voglio.” Dio. Santo. Veloce come un razzo, sgusciò sotto il marito e corse in camera, levandosi la maglietta in corsa. Ovviamente Alessandro non gli avrebbe mai fatto nulla di male, ma la fantasia di essere alla sua mercé era una delle cose che preferiva in assoluto del suo adorato pirata. Scalciò via i pantaloni e i boxer e scavò nel comodino alla ricerca del tubetto nuovo di lubrificante. Il maledetto non si trovava da nessuna parte. “Tic toc” lo riprese la voce profonda di suo marito dalla cucina. “Il tempo sta scadendo.” Daniele grugnì una bestemmia e svuotò direttamente il cassetto sul letto, finché il flacone non rimbalzò sul materasso. Lo afferrò al volo e si precipitò in cucina, nudo come il giorno che era stato messo al mondo. Due grosse mani lo afferrarono non appena rientrò nella stanza e Daniele si ritrovò piegato sul tavolo, con Alessandro che incombeva su di lui, strusciandogli l’uccello tra le natiche. Gli prese il lubrificante dalle mani e gli baciò una spalla. “Cazzo, quanto sei bello.” “Lo so, ora vedi di darti una mossa o era tutta scena?” Una sonora sculacciata lo fece sobbalzare per la sorpresa e Ale gli ghignò di nuovo all’orecchio. “Modesto, mi piace. Ora apri queste belle gambe, che è tutto il giorno che aspetto questo momento.” Daniele si inarcò tutto. Si strusciò con il culo contro l’inguine dell’altro, apprezzando la sua virilità contro la pelle e sospirò felice. “Sei un ninfomane, Russo. Sei fortunato che mi piaci.” “Davvero” rispose l’altro, ritraendosi e mettendosi in ginocchio dietro di lui. “Adesso reggiti forte.” “Ma cosa…” La prima leccata gli scatenò una scarica elettrica lungo la spina dorsale e lo costrinse a non artigliare fisicamente la tovaglia o avrebbe trascinato a terra piatti e bicchieri. Alessandro gli aveva aperto le natiche con i pollici e si stava prendendo il suo bel tempo a infilargli la lingua nel culo, decidendo che era un buon momento per farlo morire. La sensazione era… era fenomenale. Era troppo, ma allo stesso tempo non era abbastanza, voleva solo afferrarsi le natiche e aprirsi per ricevere quello che voleva. Cristo, la fame di cazzo che gli faceva venire quell’uomo. “Scopami” ansimò, distrutto, dopo qualche minuto di quel trattamento. “Scopami o non rispondo di me.” Alessandro ridacchiò, succhiando per bene la sua apertura prima di staccarsi da lui e passarsi una manata sulla bocca per asciugarsi dalla saliva. “Non rispondi di te, mh? Non preoccuparti, dolcezza. Ho qui tutto quello che ti serve.” “Cazzoooo…” Lo stava preparando con il lubrificante e da lì a un attimo sarebbe stato dentro di lui. Glielo avrebbe spinto dentro e finalmente Daniele avrebbe avuto quello stupendo uomo dentro di sé. “Non hai presto il preservativo.” “Non me ne frega un cazzo” ansimò, girandosi quel tanto dal gettargli un’occhiata sopra la spalla. “Voglio che mi vieni dentro.” Alessandro si afferrò la base della propria erezione e strinse con forza, chiudendo gli occhi. Anzi, l’occhio. “Non puoi dirmi cose del genere così. Stavo per venire subito.” Consapevole dell’effetto che faceva all’altro, allargò meglio le gambe e inarcò il sedere. “Dai, per favore…” Suo marito non lo fece aspettare. Era sbrigativo, ma non disattento. Era comunque ben attento a non causargli dolore e fastidio, pochi attimi più tardi glielo spinse dentro completamente. Non gli diede tempo di adattarsi. Ale lo afferrò per i fianchi e prese a scoparlo con decisione, al punto che il tavolo grattava sul pavimento per la forza delle spinte. Daniele pregò che i piatti non cadessero a terra, poi chiuse il cervello a tutto quello che non fosse il grosso uccello di suo marito dentro di sé e i suoi baci sulle spalle misti a grugniti. Adorava farsi scopare da quell’uomo, adorava il suo odore, adorava ogni suono che emetteva, adorava la forza e l’impegno che ci metteva per farlo godere. “Ancora, ancora…” “Ti do tutto quello che vuoi” sogghignò ancora il suo pirata preferito. “Sei così carino e dolce, poi basta che mi cali i pantaloni e guarda cosa diventi. Ti piace?” Daniele non stava già più connettendo e si limitò ad annuire, perso nel proprio piacere. Fu risvegliato bruscamente dalla mano di Alessandro che gli afferrava i capelli e lo tirava un po’ all’indietro. “Ti ho fatto una domanda. Rispondi.” “S-sì” piagnucolò, disperato perché la sua erezione era del tutto ignorata e il tavolo era troppo freddo contro la sua pelle incandescente. “Mi piace tantissimo!” Una risatina divertita accompagnò la mano di Alessandro tra le sue cosce e dopo non ci fu più tempo per parlare o pensare. C’erano solo lui e il piacere assurdo che il suo uomo gli stava dando. Lo voleva, lo bramava. L’orgasmo lo colse quasi all’improvviso e sarebbe caduto a terra, se non fosse già spalmato sul tavolo con il culo all’aria. Era totalizzante, estremo e cazzo, ogni volta era meglio della precedente. Le spinte di Alessandro a quel punto divennero erratiche e raddoppiarono di intensità, fino che non lo sentì ancora una, due, tre volte e venire dentro di lui, accasciandosi contro la sua schiena. “Cristo… io ci rimango secco con te un giorno” lo sentì dire. Quando si sfilò da lui, Daniele provò emozioni contrastanti. Il non aver usato il preservativo da un lato gli faceva pensare a tutta la noia successiva del lavaggio, ma la verità era che la sensazione di essere pieno del seme di suo marito lo eccitava. Lo sentiva colare dal suo buco lungo le cosce ed era… era… Alessandro gemette, guardandolo dalla sua posizione privilegiata. “Se non fossi appena venuto, giuro che ti scoperei di nuovo. Non hai idea… tu non hai idea davvero di quello che sei in questo momento.” Daniele si sollevò sui gomiti una volta recuperata un po’ di energia per farlo e gli sorrise, stanco e contento. “Oh, ce l’ho. Adesso portami in doccia, che mi sento le gambe di gelatina.” “Ogni tuo desiderio è un ordine” rispose il suo piratissimo, tirandolo su e prendendolo in braccio come se non pesasse nulla. Il giorno dopo si sarebbe svegliato con il mal di schiena. Daniele mugugnò qualcosa contro il suo petto, prima di sollevare di scatto la testa. “Ma la cena?” Ale guardò l’orologio della cucina e sorrise, uscendo per andare al bagno. “Tranquillo, la pasta la mangio anche riscaldata. Avevo di meglio da mangiare.” “Sei un porco.” “Lo dici come se fosse un peccato.” “Mai” ghignò Daniele, stringendogli le braccia al collo e dandogli l’ennesimo, lungo bacio. FINE Picnic è un racconto scritto da Juls SK Vernet e Daniela Barisone su commissione (per commissionarci un racconto clicca qui). I protagonisti sono Jesse e Scott de "La Scommessa" delle stesse autrici e la storia si pone in canon dopo gli eventi del libro. PicnicJesse ridacchiò all’espressione sconvolta di Scott. “Che c’è che non va? Non ti piace l’idea di un picnic? Solo io e te, nel raggio di miglia?”
“Ma… la natura,” Scott arricciò il naso. “Gli insetti.” “Sì beh, esistono anche loro,” rispose, divertito. Erano fuori dalle stalle della sua casa in Iowa, molto lontani dalle comodità cittadine del loro appartamento a New York a cui Scott era abituato. “Sai cavalcare? Qualcosa oltre a me, ben inteso.” Scott, bontà sua, arrossì in maniera furiosa. Jesse lo trovò delizioso e incredibile allo stesso tempo, perché dopo tutto quello che avevano fatto insieme era ridicolo vedere uno come Scott Brennan arrossire come un quindicenne a una battuta sporca. “Ho fatto equitazione, ti ricordo chi è la mia famiglia,” rispose l’altro, piccato. Incrociò le braccia al petto e guardò i due cavalli con una certa ansia. Jesse si lasciò scappare un altro risolino. “Allora saprai che quelle scarpette da principessa che hai indosso non vanno bene per cavalcare.” Il giovane si guardò le Oxford di pelle nera che indossava come un guanto, decisamente fuori posto nel cortile fangoso delle stalle del ranch di Jesse. “Cos’hanno le mie scarpe che non vanno?” “Niente, niente. Vieni qui.” Jesse scosse la testa ed entrò all’interno. Una rastrelliera attaccata al muro teneva appesi scarponcini di tutte le misure in bella mostra, un’utile idea poiché a Jesse piaceva parlare di affari con i suoi investitori andando a cavallo. E tutti loro indossavano Oxford di pelle in varie gradazioni di colore, proprio come Scotty. Ne prese un paio e lo allungò al compagno. “Queste dovrebbero essere del tuo numero. Lì c’è una panca. Mentre ti cambi vado a sistemare i cavalli.” Scott borbottò qualcosa sulla falsariga di “Ma perché non potevamo andare in macchina”, ma Jesse lo ignorò con un sorriso, andando a controllare che le sacche appese alle selle contenessero tutto quello che serviva loro. Aveva organizzato quel picnic con cura maniacale, voleva che fosse perfetto e una vera avventura per Scott. Aveva predisposto tutto, dalla tela cerata alla coperta di morbido pile su cui sedersi, agli spuntini e le bevande, tutto ordinatamente appeso ai cavalli. Non sarebbe stato un viaggio lungo, meno di dieci minuti al massimo, ma voleva che fosse bello. Bello, bellissimo. Per il suo adorato Scott. Quest’ultimo uscì dalla stalla con il broncio, vestito a festa e con un paio di scarponcini marrone chiaro che facevano a pugni con tutto il resto. “Non posso… non posso salire a cavallo.” Jesse inclinò la testa di lato. “Perché? Hai paura? Se è per questo posso…” “No, no. Non è per questo, è per…” fece un cenno vago con la mano, infine sbuffò sconfitto. “Stamattina ho messo il… sai, il plug. Quello che mi hai regalato.” “Beh.” Jesse gli rivolse un sorriso che sarebbe stato bene a uno squalo. “Vorrà dire che sarà una cavalcata molto interessante.” Scott arricciò il naso e gli fece una linguaccia. “Se sapevo che dovevamo andare fuori a cavallo magari evitavo,” borbottò il ragazzo, poi montò in sella con una certa scioltezza. Jesse non avrebbe saputo dire che indossava un plug — e se ricordava bene quello che gli aveva regalato non era proprio una taglia da principianti — se non per il fatto che lo vide fare una smorfia mentre si sistemava in sella e forse sedersi un po’ più in avanti di quanto fosse necessario. Ma lo sapeva soltanto perché lo conosceva nei minimi dettagli. Si avviarono lungo il breve tragitto al piccolo trotto. C’era qualche ostacolo da saltare ma Scott se la cavò egregiamente. Certo sembrava più abituato alle gare di dressage che a correre libero per le campagne, ma Jesse considerò che era un’altra cosa che avrebbero potuto fare insieme, un’altra cosa che avrebbe potuto insegnargli. Da quando stavano insieme Scott — che pure si divertiva un mondo a fare ancora la parte del moccioso viziato quando erano assieme — era cresciuto ed era fiorito oltre ogni rosea aspettativa. Il ragazzetto malizioso che l’aveva sedotto alla festa di Kayla Sutherland non era sparito nel nulla ma si era trasformato in un uomo giovane, bellissimo e pieno di capacità da sfruttare per il proprio futuro. Scott aveva ripreso a studiare, bruciando le tappe per recuperare il tempo perso e aveva cambiato il proprio corso di studi per selezionare qualcosa di più attinente ai suoi nuovi interessi in campo aziendale. Era sveglio, preparato e spesso parlava di cose che Jesse neanche sapeva come si scrivessero, ma per quello c’erano i suoi dipendenti, no? Finalmente sbucarono in un angolo verde tra un immenso campo di granturco sul retro del ranch di Jesse e uno stretto ruscello che divideva la zona coltivata da un appezzamento lasciato al naturale. In quella zona iniziavano delle basse collinette coperte da folta vegetazione e qualche arbusto più alto. “Wow,” disse il figlio della città, guardandosi intorno con grandi occhi azzurri pieni di sorpresa. “Sì beh,” rise Jesse, divertito. “Tutta un’altra cosa rispetto a Central Park, eh?” Scott scrollò le spalle e smontò da cavallo, lasciando la bestia libera di pascolare. Jesse lo vide passarsi le mani sulle chiappe indolenzite e smontò a sua volta, ridacchiando. Lo afferrò per la vita, da dietro, e se lo tirò addosso. Scott sbuffò e finse di dibattersi, per poi spalmarsi con un sospiro beato contro il petto ampio di Jesse. “Ora mi butti su una spalla e mi porti nella tua caverna?” disse l’impunito, sbattendo quelle lunghe ciglia nere sugli occhioni celesti. Jesse gli baciò la guancia. “Forse, ma dovrai avere pazienza.” Scott abbozzò un tenero broncetto rosa, che Jesse si affrettò a baciare. Era tutta scena, ma era divertentissimo. Insieme tolsero l’occorrente per il picnic dalle selle e lo sistemarono a terra. Stesero prima il telo cerato, poi la coperta di pile. Mise le sacche con il cibo e le bevande a terra, ma prima che Jesse potesse anche solo pensare di aprirle, Scott si era levato la maglia a maniche lunghe ed era rimasto a torso nudo. “Ma…” Scott lo fulminò con lo sguardo. “Possiamo mangiare dopo.” “Ma…” ritentò di nuovo Jesse, ma fu distratto dall’agile mossa con cui il ragazzo si tolse gli stivaletti, i jeans e le calze. Era rimasto solo con indosso un delizioso paio di mutandine da donna bordeaux che glielo fecero venire duro in un istante. Scott camminò fino al bordo della coperta e lo fissò con il fuoco negli occhi. “Mi hai fatto cavalcare con un cazzo di plug nel culo e ora pretendi che non sia tutto sottosopra?” Jesse lo afferrò per la vita e lo prese in braccio, godendo del modo in cui Scotty gli cinse i fianchi con le gambe sottili e il collo. Il bacio fu furioso e nessuno dei due avvertì la necessità di prolungare oltre quel momento. Da quando aveva potuto essere dentro di lui per la prima volta, Jesse non ne aveva mai abbastanza. “Sdraiati,” gli ordinò, staccandosi da quella bocca vorace. “Fammi prendere il lubrificante e il preservativo.” Scott si imbronciò, facendo però quello che gli era stato chiesto. “Perché il preservativo? Non lo usiamo quasi mai.” Ridacchiò, mentre prendeva il necessario e si slacciava i calzoni nel mentre. “Lo sai, tesoro. Se non siamo in casa il preservativo ci va sempre.” “Ma puoi rimettermi il plug, no?” lo tentò quel piccolo demone, spalancando le gambe e spostando l’elastico delle mutandine quel tanto da mostrargli la base del plug gioiello che gli aveva regalato. “Non è la prima volta che mi vieni dentro e poi me lo fai tenere così.” Jesse, a sua discolpa, era solo un uomo. E non era venuto lì e subito solo perché aveva abbastanza autocontrollo sulle sue parti basse, ma non ancora per molto a essere onesti. “Sei un demonio.” Per tutta risposta, Scott gli scoccò un bacio e si mise a carponi, culo in aria e tenendo l’elastico degli slip con le dita. “Sì, e non mi pare ti dispiaccia. Vedrai, Jessie. Non dovrai nemmeno preoccuparti di far raffreddare il cibo che hai portato.” “Ah no?” mormorò, inginocchiandosi dietro a quel culo perfetto con solo i jeans slacciati e il cazzo di fuori. “Come mai?” “Perché lo voglio duro e veloce.” Jesse era una persona semplice. Un tempo Kayla gli diceva che aveva solo due neuroni entrambi deputati al funzionamento del suo cazzo. Il resto del suo corpo doveva arrangiarsi per i fatti suoi. Beh, non poteva darle torto. La sola vista di Scotty in quella posizione, le parole luride che gli uscivano dalla bocca lo fecero passare da uomo arrapato a cavernicolo in due secondi netti. Affondò le dita nelle cosce bianche di Scott e si premette contro di lui. Quella sola pressione era abbastanza a spingere il plug, muoverlo dentro di lui. Ah, era soltanto l’inizio. Aveva detto duro e veloce? L’avrebbe avuto duro e veloce. “Muoviti,” lo provocò quel demonio, premendosi contro di lui. Jesse ringhiò forte e gutturale e si affrettò a prendere un po’ di lubrificante, facendolo colare direttamente dalla boccetta in mezzo alle sue natiche e sul plug. Scott venne scosso tutto da un lungo brivido e si premette ancora indietro. “Sai cosa significa ‘duro e veloce’? Significa che mi levi questo plug e mi fotti fino alle lacrime. Vuoi un disegnino?” Jesse gli schiaffeggiò una natica prima che Scott potesse finire la frase. Lo schiocco risuonò con forza e riuscì a zittire il ragazzo per un istante. Poi Jesse colpì anche l’altra natica, stampandovi un grazioso segno rosa e Scott aprì la bocca e iniziò a gemere e mormorare. “Molto meglio così,” ringhiò Jesse, prima di afferrare la base del plug e girarla, muoverla in un modo che sapeva essere irresistibile. Scott si tese tutto, premendosi contro di lui e mormorando parole sconnesse. Quando finalmente Jesse tirò via il plug sembrava quasi che il ragazzo fosse già pronto a venire. “Nossignore, non ti ho dato il permesso.” Jesse afferrò la sua erezione e la strinse alla base, mentre gli cacciava dentro due dita dell’altra mano per assicurarsi che fosse ben allargato. Lo era. “Jessie…” Scott era un bellissimo disastro: rosso in faccia e sul petto, spettinato e beh, a novanta su una coperta da campeggio e pronto per lui. Jesse non attese oltre. Lo penetrò con facilità grazie al plug, gli strinse la vita con un braccio e iniziò a muoversi. Proprio come voleva Scott: spinte veloci e secche che non gli davano requie e lo spostavano un po’ da terra con ogni bordata. “Cristo santo, è tutto quello che sai fare?” lo provocò Scott, ma dal fiato corto e gli occhi appannati, Jesse dedusse che era tutta scena. Però era troppo infoiato per utilizzare raffinate tattiche di seduzione, così si limitò ad aumentare il ritmo finché il suo adorato non si ritrovò con la faccia nella coperta e il culo martellato. “Occhio a quello che chiedi, Scotty” ansimò. Jesse si sentiva potente in quella posizione, adorava averlo alla sua mercé, godeva nel sapere che quel piccolo culo bianco e stretto era suo e di nessun altro. “Se non fai il bravo… potresti ottenerlo.” In tutta risposta, Scott scoppiò in una risata rauca. Alzò appena la testa per mostrargli un sorriso lento e pericoloso, pieno di voglia. “Non sono un bravo ragazzo, daddy. Dovresti ormai saperlo che sono una troia.” Jesse voleva morire. E risorgere. E magari anche ascendere ai cieli. Quel moccioso irriverente e sboccato era perfetto per lui, da ogni porcata che pronunciava al modo in cui non si vergognava di chiedere quello che voleva. E da quando quello che voleva era farsi scopare quel culo che per un anno intero gli aveva negato… beh, chi era Jesse per dire di no? “Ti amo, sai?” ringhiò, aumentando il ritmo delle spinte e ignorando le mutandine ormai totalmente inzuppate. Non gliele aveva nemmeno levate, perché gli piaceva prenderlo quando le aveva ancora indosso. Era lurido e sexy, nel modo in cui piaceva a entrambi e cazzo, era innamorato pazzo. Scott si spinse all’indietro per andargli incontro. “Ti amo anche io. Sto venendo…” Jesse mise una mano davanti al corpo dell’altro e gli bastò masturbarlo giusto un paio di volte, prima di vederlo tendersi ed emettere il gemito più sexy che avesse mai sentito. Il modo in cui il culo di Scott gli stritolò l’uccello in una morsa feroce lo portò oltre il limite nel giro di pochissimo, facendolo affondare fino a riempirlo del proprio seme. Cazzo, era fantastico. Scott crollò sotto di lui con la faccia premuta nella coperta e un’espressione di pura estasi. Jesse rotolò di fianco per non schiacciarlo sotto il proprio peso ma lo attirò a sé e lo fece voltare per riempirgli la faccia di baci. Ci mancava tanto così che Scott facesse le fusa come un tenero gattino tanto era rilassato e felice tra le sue braccia. Jesse gli passò le mani nei riccioli neri tutti spettinati, gli accarezzò le guance e gli baciò le mani, un bacio su ogni nocca. Scott ridacchiò e riaprì gli occhi a mezz’asta, terribilmente azzurri sotto le ciglia nere. “Mi sa che mi è venuta fame,” disse il ragazzo. Un secondo dopo un profondo brontolio venne dalla sua pancia piatta e bianca. “Beh, sei tu che hai voluto il dolce prima di mangiare,” rispose Jesse. Avvolse Scott nella coperta e si rassegnò a stendere la tovaglia direttamente sul telo impermeabile che aveva messo a terra. Scott scrollò le spalle, impunito. “Cavalcare fa venire fame, Jessie.” FINE Con enorme piacere vi annunciamo la nascita della nostra collana di cartacei ad alta leggibilità che potete trovare QUI. Che cos'è questa edizione? Abbiamo pensato a una versione ad alta leggibilità di questi libri per persone con DSA (dislessia) e BES. In cosa consiste dunque?
Per migliorare l'esperienza di lettura su questi libri, vi consigliamo l'utilizzo di un segnalibro posto sotto ogni riga per evitare l'affollamento percettivo. Perché non sono disponibili tutti i vostri titoli? Per quanto ci piacerebbe poter disporre della versione ad alta leggibilità di tutti i nostri libri, purtroppo non ci è possibile. In alcuni casi la lunghezza del libro sarebbe eccessiva (il nostro titolo più lungo ad alta leggibilità al momento è Villerouge con ben 634 pagine) e i costi di produzione supererebbero la cifra originaria della versione cartacea tradizionale, vanificando il nostro intento. Per i titoli molto lunghi vi raccomandiamo la versione in ebook su Kindle, impostabile ad alta leggibilità tramite le impostazioni del device e senza costi aggiuntivi. E gli ebook?Tutti i nostri ebook sono fluidi e di conseguenza già ad alta leggibilità.
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December 2023
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